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Il regista Oriza Hirata, al Napoli Teatro Festival, presenta due spettacoli in una sola serata

L’esperimento del regista nipponico consiste nel portare il teatro giapponese verso il mondo occidentale, allontanandolo dalla struttura recitativa estrema del teatro tradizionale No e Kabuki. La recitazione è infatti molto più naturalistica, addirittura sottovoce in alcuni punti. Va detto che questo esperimento è però riuscito solo in parte in quanto, seppur apprezzabile, il tentativo di modernizzazione non è compiuto perché ancora risente della lentezza del teatro No e dell’importanza del dialogo, piuttosto che della situazione, tipica di tutto il teatro nipponico.

"The Yalta Conference"

Il primo spettacolo, in scena al Museo di Capodimonte, è stato The Yalta Conference, una ricostruzione di quella che sarebbe stata la conferenza di Yalta (in quanto nessuno, a parte i partecipanti, vi ha assistito) tra Roosvelt, Churchill e Stalin. La rappresentazione si presenta come una visione grottesca dei tre leader che, seduti ad un tavolo, litigano tra di loro su come dividersi il mondo una volta che la II guerra mondiale sarà conclusa. Sebbene i dialoghi possano essere anche molto verosimili, le tre figure appaiono estremamente caricaturali, soprattutto la figura di Roosvelt.
L’intento del regista era quello di creare comunque una visione paradossale dei tre leader ma forse è andato un po’ troppo oltre rendendoli addirittura ridicoli. Da segnalare il rapporto tra i tre attori/leader che mette in risalto ciò che c’è davvero dietro ad una situazione di guerra: tre capi di Stato che scherzano sulla popolazione civile e su come dargli un contentino per sanare la loro reputazione pubblica.

Secondo spettacolo della serata Tokyo Notes, ambientato in un museo, in cui si intrecciano varie storie di vita quotidiana. Tutta la vicenda, ambientata in un futuro Giappone che fa parte di un mondo in guerra, ruota attorno ad una mostra sul pittore olandese Vermeer. Di lui viene detto durante lo spettacolo che “dipingeva in luce solo le persone vicino alle finestre e tutto il resto lo lasciava in buio”. Questo concetto, il regista Hirata lo fa suo e lo applica allo spettacolo: come un gioco di luci e ombre, dialoghi diversi che avvengono in contemporanea si illuminano e si spengono nel passaggio dall’uno all’altro mettendo “in luce” solo la situazione che in quel momento merita attenzione.

"Tokyo Notes"

Anche qui il passo verso il teatro “naturalista” è ben compiuto ma la rappresentazione appare, come già precisato, molto lenta in quanto fortemente legata al teatro nipponico. È quindi evidente che Hirata ha cercato di modernizzare solo in parte il tratto recitativo lasciando intatti molti spunti del teatro orientale. Il taglio di Tokyo Notes è molto cinematografico, le vicende molto meno in quanto fatte di dialoghi che ad un occidentale appaiono molto banali. Esse, in realtà, sono la base del teatro giapponese in cui si dà molta più importanza al dialogo piuttosto che alla situazione e creano una lettura molto più difficile e sottile, apparentemente banale.
Durante un dialogo tra Satoshi Kobayashi e Yuri Ogino si dice, inoltre, del pittore Vermeer: “Amava dipingere le persone rivolte verso la finestra. E tutti cercano di spiegarsi il perché. Non è stupido?” Parafrasando ci si chiede: “Oriza Hirata ha deciso di allontanarsi dal teatro tradizionale giapponese, naturalizzando la recitazione, ma conservandone la struttura centrale tradizionale. E tutti cercano di spiegarsi il perché. Non è stupido?”. È appunto stupido in quanto non avrebbe senso cercare di spiegare il senso di un tentativo di modernizzazione che, purtroppo per Hirata, non può sussistere, in quanto per riuscire a rendere “occidentale” (e quindi apprezzabile per un occidentale) il suo testo, dovrebbe dare un taglio netto alla base della sua cultura teatrale, occidentalizzando anche quella.

Doverosa precisazione finale: è stato sicuramente ancora più stupido l’allontanarsi di alcuni spettatori dalla sala dopo appena 15 minuti di spettacolo.

Gennaro Monforte

"Tokyo Notes", foto di repertorio

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