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“Se c’è un dio, è nella pioggia”.

«Mi chiamo Carmine e conto. Non nel senso che conto qualcosa, no… ma proprio che conto». Queste le prime parole che in Carmine G. – Un uomo che conta, il protagonista rivolge al pubblico nel suo studio, dopo averlo diviso per categorie e accuratamente conteggiato.
Stretti nella piccola stanza di casa Gasualdi-Trono in via Mezzocannone, una delle location principali per Alto Fest, gli spettatori sono circondati da lunghi elenchi numerati e confusi, appesi alle pareti, al letto, ai ripiani dell’archivio traboccante di cartelle. E di fronte hanno il romantico personaggio interpretato da Peppe Papa: recitazione sommessa e toni confidenziali nell’intimità che Carmine per la prima volta concede a degli estranei, come rivela imbarazzato.

La peculiarità che gli ha segnato la vita è la mania del contare qualunque cosa, reale o pensata che sia, definendola in base al numero delle componenti, sezionandola per cifre fin dove è possibile ed annotando tutto. Il suo primo elenco è incorniciato e fu stilato da bambino: la lista delle cose belle viste in un giorno. Tra di esse “una nonna”, la donna che l’ha cresciuto al posto dei genitori, di cui resta solo una foto – anzi, l’elenco delle caratteristiche di quella foto. La stessa nonna che quando morì, Carmine salutava nella bara contando «91 anni, 92 rughe sul viso, 52 sul collo, 13 sulle braccia, – e poi – due corone di fiori, un rosario tra le mani, due ospiti silenziosi», prima che venisse allontanato. Anche in quel caso, come solitamente accadeva, non era stato compreso. Poiché «la salutavo a modo mio», l’unico modo possibile.

Con un conta-persone come unico amico, «musica allo stato puro!», immediatezza e una semplicità solo apparente, il personaggio prosegue il racconto della sua vita. Per poi richiamare l’ironia della storia e quei melodiosi ticchettii con due canzoni del Quartetto PapAnimico, composto da Antonino Talamo, Alberto Falco e Raffaele Natale, cui Papa si ricongiunge restando, come gli altri, in mutande. Intanto le parole del monologo sono nell’aria, tra i presenti che si chiedono se sia effettivamente possibile contare i sentimenti, le allegrie, le tristezze, le delusioni di una vita.

L’emozione che porta quel progressivo svolgimento di serie e di dati, deriva proprio dalla coscienza che il protagonista condivide con il pubblico: la profonda finitezza degli uomini. A differenza di tutti noi, Carmine non se ne dimentica neanche per un attimo, e paga il prezzo di questa costante consapevolezza. Che sia la condizione ostativa o fondamentale per la felicità.
Per cui era stato una volta sola al mare, e aveva vomitato avvertendo la sensazione degli innumerevoli granelli di sabbia di una spiaggia, dell’impalpabilità delle onde. Per cui non può guardare il cielo, e conduce il pubblico in terrazzo per sapere se ci sono stelle. Per cui se chiude gli occhi, risente dell’“ingorgo” con cui il mondo crudelmente occlude i nostri sensi. Per cui conta la pioggia e, confrontato con l’uomo, pensa «l’infinito è un abominio».

Eduardo Di Pietro

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