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Che il mare offra metafore di vita particolarmente profonde, è risaputo a tutti. Eppure pensare alla distesa d’acqua che si protende verso l’Altrove, è sempre motivo di trasporto. Specie per i popoli che il mare lo conoscono bene, come i napoletani. O i veneziani.

“La vita è mare per il suo essere incontenibile, per non accettare una forma esatta”. La suggestione da cui è partita Antonella Monetti per elaborare Otello e Iago. Viaggio in mare è dunque questa: il generale e il suo alfiere al servizio della Repubblica di Venezia, in quanto tali, potrebbero affrontare il dramma che ne segna i destini proprio navigando. E gli spettatori potrebbero seguirli a bordo della “Desdemona”, il gozzo amalfitano che il Moro governa, dopo essere sfuggito alla tempesta che ha affondato il nemico turco. Dalla stessa burrasca era scampata anche Desdemona, grazie al fazzoletto del marito che, per l’occasione, funge da vela portafortuna. L’autorialità di Shakespeare prevede inoltre che Emilia – “d’Amalfi”, in questo caso –  abbia recuperato tale vela dispersa, e che Iago ne faccia il mezzo della rovina di Otello.
È giusto indicare subito che lo spettacolo risulta bello, non foss’altro che per l’operazione matematica che addiziona, all’opera del 1603, il panorama del golfo di Napoli al tramonto.

“La vita è mare per essere imprevedibile, mai sapere fin dove arriverà la prossima onda”. Sul molo della Lega Navale Italiana, Michele Cassio intona il Sonnet XVIII versione David Gilmour per Desdemona, che fluttua tra i tessuti bianchi, fino a quando Otello e il suo sottoposto non si sentono urlare in lontananza. Per questa introduzione, Otello e Iago. Prologo, l’alfiere spiega al pubblico i motivi del suo odio, il Moro presenta l’imbarcazione con cui salperanno, ed Emilia rivela di aver recuperato il fazzoletto-vela dopo la tempesta. Sono questi i tre personaggi che escono in barca con gli spettatori per la seconda parte dello spettacolo: si lascia il porto a motore, poi si spiega la vela sotto la supervisione dello skipper, tra gli ordini baldanzosi del generale interpretato da Carmine Paternoster. Alla sua ammirazione innamorata per Desdemona, corrispondono però le trame e le affermazioni ambigue di Iago.
Da notare il ricorso interessante all’alternanza di inglese, italiano e napoletano degli attori, per cui si verificano curiosi accostamenti linguistici.

“La vita è mare per il sale con cui brucia e guarisce le tue ferite”. Quando Otello perde la fede nel proprio amore, il coinvolgente Salvatore Caruso, nelle vesti del traditore, ha già avuto modo di issare la vela che il Moro crede non essere più nelle mani della moglie, bensì di Cassio. La vela grande sbatte al vento mentre la vittima dell’inganno cade in preda a una crisi e poi, soccorso da Emilia – la stessa Monetti, ammaliante narratrice degli eventi, – aggredisce l’infido amico trascinandolo in mare. Quando risale a bordo ha già deciso di uccidere Desdemona.
Così la conclusione si consuma in maniera piuttosto sbrigativa, con l’ordine dal tono umiliato del Moro “Back to the port”, un attracco in sordina e un abbraccio fatale tra Otello e Desdemona, stavolta sospesa tra i tessuti rossi.

Appunto metafora vitale, il mare definisce la forte emozione che genera l’isolamento di quei due uomini, sorpresi dal pubblico nel distruggersi a vicenda per amore, ambizione, gelosia, vendetta. Lo spettacolo è tutto qui in realtà: Cassio non viene destituito, Emilia non muore assassinata, manca l’arresto di Iago. Il necessario è in bilico tra le onde, nel rapporto tra Otello e Iago che si sviluppa, galleggia a stento e poi affonda lentamente, senza rimedio. Proprio come la vita.

Eduardo Di Pietro

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