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In scena all’ex asilo Filangieri di Napoli Homunculus, il Nerone di Napoli

Francesco Mastriani, scrittore napoletano, può essere considerato il precursore del verismo. Nello spettacolo, in scena per il Napoli Teatro Festival, il regista Paolo Castagna prova a inscenare un’esperienza di transfert che, si narra, ebbe Mastriani durante il suo primo turno di guardia come custode notturno di un museo e che lo portò a scrivere il primo romanzo giallo della storia Il mio cadavere.
Il personaggio portato in scena da Giancarlo Condè non è però Mastriani bensì un semplice custode notturno appassionato degli scritti di Mastriani che subisce la stessa esperienza di transfert dello scrittore immedesimandosi quindi nei personaggi di quel romanzo. Homunculus si fa notare per alcuni effetti particolari (azzeccata la trovata delle proiezioni di immagini/fantasmi sul soffitto) e nulla più.

Tutto appare molto lento e si fatica a seguire lo svolgersi degli eventi. Condè si muove tra vari personaggi: prima due personaggi facenti parte del bagaglio recitativo del custode notturno che sogna di fare spettacolo, poi il custode stesso, quindi i due personaggi nati dalla fantasia dello scrittore Mastriani, Edmondo (l’homunculus, malvagio e senza scrupoli) e Daniel un musicista, avido di ricchezza, assunto dallo stesso Edmondo. Tralasciando i primi due personaggi (che fungono solo da pretesto per introdurre il custode e che non aggiungono niente alla vicenda) e il custode (che fa da collante tra i vari personaggi) va detto che Edmondo e Daniel si distinguono soltanto in quanto vestono l’uno uno zuccotto e l’altro un cilindro e una sciarpa.

La vicenda, che è poi la trama de Il mio cadavere, si riesce comunque a seguire ma la recitazione e l’interpretazione dei due personaggi principali è sostanzialmente identica. L’esperienza del transfert, che non è altro che una sorta di possessione, dovrebbe portare ad un cambiamento del modo di essere e di parlare del custode a seconda del personaggio (Edmondo o Daniel) che si impossessa di lui. Ciò non accade, Condè cambia abiti ma rimane uguale nel modo di essere e di pensare.
Questa mancata attenzione penalizza il testo (di Enrico Groppali) che, durante i 70 minuti di allestimento, fatica a crescere, tenta di risalire in alcuni punti ma inevitabilmente si affloscia sotto il peso di un ritmo mal sostenuto e di una recitazione monocorde.
Alla fine, gli applausi partono ma deboli, qualcuno invece dissente e non partecipa all’approvazione di circostanza. Resta l’amaro per un testo che offriva buoni spunti e sicuramente meritava di essere valorizzato meglio.

Gennaro Monforte

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