Manlio Boutique

In seguito ai fatti vergognosi che hanno coinvolto Marie Therese Sitzia alcuni giorni fa, aggredita da un commerciante ancor prima di esibirsi per “Ramblas” a via Toledo, proponiamo questa intervista alla danzatrice, e la ringraziamo per la sua grande disponibilità.
Appena abbiamo avuto modo di parlare, Marie Therese ci racconta l’accaduto e si lascia trasportare dall’indignazione per la violenza bestiale di cui è stata vittima. Ciò nonostante, le parole sulla sua arte sono coinvolgenti e piene di passione.

Marie Therese, vuoi parlarci di te?

Mi sono avvicinata alla danza da giovanissima e ne ho sperimentato vari generi, come quella contemporanea, prima di arrivare alla danza Butoh. Ho lavorato a Roma con la compagnia “Lios” e ho continuato a praticare questa tipologia di danza nata nel 1959 in Giappone. Ma l’arte di strada mi ha sempre affascinato molto: del resto lo stesso Butoh non nasce in teatro, si è sviluppato per eventi performativi che si tenevano a Tokyo e attribuisce grande importanza a qualsiasi luogo si decida essere lo spazio per l’atto performativo.
Sono tornata a Napoli da 8 anni, ho preso anche parte al primo Napoli Street Festival con una performance al chiostro di S. Chiara, di cui si parlò parecchio. Ho indagato il significato degli spazi in cui ci si esibisce e la differenza che si genera sull’atto, che lo spazio sia aperto, o che sia chiuso.

Come sei arrivata a “Ramblas”?

Ho collaborato con Taverna Est Teatro diverse volte in passato, ci conosciamo bene e sono amica degli organizzatori. Giulio Barbato e Claudio Benegas mi suggerirono di partecipare già 2 anni fa, ma ero impegnata in uno spettacolo al Museo Archeologico Nazionale con il maestro Akira Kasai. Neanche l’estate scorsa mi fu possibile partecipare, poiché lavoravo in uno spettacolo del Fringe (Nuha o vite di scarto, ndr) con Anna Redi. Quest’anno finalmente potevo, per cui ero molto emozionata, essendomi esibita per lo più in teatro.
Questa sera (venerdì sera, per l'”After zone 2011″, ndr) dovevo prendere parte al dopofestival al Borgo Marinari organizzato dal Festival con le performance di alcuni degli artisti di “Ramblas”. Ma non potrò esserci.

Cosa ti è successo a via Toledo, quando ti hanno aggredita?

Avendomi indicato via Toledo come strada in cui mi sarei dovuta esibire, riguardo all’ambiente nutrivo dei dubbi, ma avevo pensato a un intervento di danza lirico: portavo con me un foglio di cellophane non grande, meno di 2×1 metri, che avrei steso per terra, una piccola sedia, la valigetta di vimini con l’occorrente, una cassa per la musica classica di cui avrei usufruito e pochi altri oggetti. Erano tutte cose surreali, necessarie per creare una sorta di stanzetta dall’atmosfera poetica in cui ambientare il mio pezzo teatrale La vertigine, adattato per l’occasione. Mi accompagnava la mia allieva e amica Irene.
Avrei preferito sistemarmi di fronte al Banco di Napoli, dove si potevano sfruttare i cespugli della facciata come sfondo e a tal proposito una guardia di Finanza all’esterno dell’edificio si era gentilmente mostrato disponibile. Ma l’organizzazione aveva stabilito per me un altro spazio, per cui mi sono spostata fino al negozio “Marella”. Immaginavo che tutti i commercianti dei dintorni sapessero di “Ramblas” e della manifestazione, comunque non mi sono sistemata davanti all’insegna, né all’entrata, né a qualche vetrina. Ho anche avuto la delicatezza di lasciare circa un metro di distanza dal muro, in modo da consentire il passaggio ed offrire una visione cubica dell’atto.
Quando stavo solo spiegando il cellophane per terra, è uscito dal negozio un giovane sulla trentina che ha cominciato a offendermi. Io mi stavo presentando ma mi ha sorpreso, per cui gli ho chiesto di rivolgersi a me con più educazione. Stavo per spiegargli di “Ramblas” e del perché ero lì: ma vedendo che il suo tono non cambiava, mi ero decisa ad andare altrove. Tutto ciò era già molto triste poiché uno spettacolo, il mio nel caso, poteva unire realtà distanti come quella dell’arte e quella di chi pensa al consumo, godendone tutti. L’atto performativo ha una funzione politica, l’avevano capito bene gli antichi Greci.
Per potermi spostare avevo comunque bisogno di avvertire gli organizzatori e mentre telefonavo a Giulio, quell’uomo calpestava il cellophane e non mi permetterva di riprenderlo. Poi è uscito il padre che, senza ascoltarmi mentre lo informavo del fatto che avevo il permesso, ha lanciato via i miei oggetti tra cui lo zaino che conteneva la cassa, che è volato dall’altra parte della strada rischiando di colpire qualcuno. L’aggressione, essendo passata da verbale a fisica, mi ha impaurito e ho chiamato il 113.
Intanto si era intromesso l’operatore del NTFI che mi aveva raggiunto per riprendermi, ma è stato aggredito ed è stata danneggiata la videocamera: quando l’ho soccorso ho ricevuto ripetuti calci nella pancia dal figlio e sono stata graffiata sul collo dal padre. Il giovane ha poi tentato di trascinarmi nel negozio, ma fortunatamente i passanti sono intervenuti in nostro aiuto, tanto che quei due sono stati costretti a chiudersi nel locale.
Sono arrivati infine i responsabili della manifestazione che hanno prontamente avvertito la stampa dell’accaduto, io sono stata prima in ospedale e poi a esporre denuncia.

Sei stata quindi aiutata da qualcuno?

Assolutamente, dopo i primi momenti di straniamento davanti a tanta violenza ingiustificata, tutti i presenti alla scena hanno preso le mie parti, ho ricevuto grande solidarietà da tanti artisti ed amici. Un gesto che però mi ha deluso è stato il fatto che nessuno degli organizzatori del Teatro Festival si sia interessato personalmente alla mia vicenda, accompagnandomi in ospedale o a denunciare il fatto. I responsabili di “Ramblas” mi sono stati vicini nella misura in cui potevano, dovendo proseguire il festival.
Avvenimenti come questo sono molto più rari all’estero: ho lavorato a New York, a Parigi, a Barcellona, dove però si comprende che anche l’arte di strada crea valore, ad esempio avvicina le persone ai negozi, non le allontana.

Come stai adesso?

Ho male alla clavicola e alla schiena, dei segni sul collo. I calci alla pancia non mi hanno lacerato gli organi interni, si vede che danzo: ho gli addominali fortissimi! Ma i calci si sono ripercossi sulla schiena, per cui sono più preoccupata. Adesso ho paura, anche a passare per via Toledo mi sento in ansia: sono rimasta ferita più che altro psicologicamente e moralmente.
E sono triste perché non posso danzare.

Cosa pensi di tutto ciò?

Non so cosa pensare riguardo all’aggressione, è stata talmente immediata e inaudita che non riesco a capire che razza di persone possano essere padre e figlio di “Marella”. La loro è una mentalità camorristica, ma il comportamento non è paragonabile neanche a quello delle bestie.
Quello che so è che non si può smettere di nutrire l’arte, specie l’arte di strada. Questi avvenimenti devono essere il segno per una trasformazione: in Puglia esiste un decreto per cui in tutte le città della regione gli artisti di strada sono liberi di esibirsi, senza permessi. È una risoluzione di livello europeo, sarebbe bello che il sindaco introducesse questo tipo di possibilità a Napoli.
Per quanto infernale, caotica e camorristica, questa città vanta un atto creativo molto grande ma c’è una parte di vitalità che è censurata, poiché non esistono le strutture adatte ad esprimerla, e vediamo sempre lo stesso lato di questa forza creativa. L’atto performativo ha un sottotesto di dialogo tra artista e pubblico, e il dialogo è fondante per la società: nel caso di “Marella” non c’è stata alcuna apertura al dialogo e sarà sempre così difficile finché qualcosa non cambierà.
Per questo vorrei intraprendere un percorso che possa portare allo stesso tipo di decreto in vigore in Puglia, anche a Napoli. Sarebbe un grande miglioramento. Come in tutte le cose, anche per  questa città vediamo sempre quello che manca e non vediamo quello che già c’è. Oppure dobbiamo pensare sempre e solo a una Napoli chic, monnezza e camorra?

Eduardo Di Pietro

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