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Se fosse possibile distinguere gli spettacoli tra quei meccanismi più o meno perfetti, basati sulla quadratura dei vari ingranaggi che li compongono, e quelle messinscene sostenute interamente dalle capacità di uno o più attori, se tutto ciò avesse poi un senso, Pitecus rientrerebbe soprattutto in quest’ultima categoria. “Soprattutto” e non completamente perché, come per tutti i loro lavori, le performance teatrali (e cinematografiche) di Antonio Rezza sono sempre riconducibili all’opera di Flavia Mastrella.
Questo non toglie alcuna importanza all’attore, perché tutte le sue performance sul palco sono Antonio Rezza e nessuno potrebbe prendere il suo posto. Lo prova il fatto che abbiano rappresentato (e continuino a rappresentare) il loro spettacolo risalente al 1995, nell’occasione davanti al pubblico del Pompei Lab.

Per il secondo anno in tale rassegna quindi, Rezza esibisce come sempre divinamente le proprie attitudini e gioca con la scenografia di Mastrella. Le stoffe opache e lucide dello spettacolo, dai colori vividi e dalle figure geometriche, con i loro buchi per il viso trasformano il performer in Gidio e nei suoi ospiti invadenti, in Saverio, nei premurosi amici di Fiorenzo, nel “roscio” e nella sua nuova comitiva. Artefatti magnifici quelli della scenografa-regista, non che Rezza abbia comunque bisogno di costumi per trasformarsi, come dimostra di continuo.
La proiezione iniziale di un episodio di Troppolitani riscalda gli spettatori e li prepara inconsapevolmente alle prese in giro che Rezza dispensa con generosità ai suoi compresenti. Ma lo one-man-show è tutto in funzione della sua bravura, lui lo sa e si permette sferzanti provocazioni da repertorio. L’infinita espressività del volto, l’arguzia geniale delle sue battute, le capacità estetiche e fisiche del corpo e i suoi tempi formidabili non stancano mai, e del resto può anche permettersi di strappare le risate semplicemente interpretando la serena attesa di un uomo non motorizzato.

I suoi personaggi sono tutti caratteri brevi e densi, uomini e donne senza speranza di salvezza dal nulla, dall’omologazione spietata e consumistica, dalle fissazioni e dagli istinti più bassi. La drammaturgia cui si accostano le varie istallazioni scenografiche, si articola per quadri disconnessi, sketch autoconclusivi dove la chiusura resta in genere sospesa, concordemente con i contenuti variegati, leggibili a più livelli. Una raffigurazione della società e dell’uomo radicalmente sovversiva, che offre un’irrisione e un rifiuto profondo della rassegnazione alla realtà, nascosto dietro le definizioni sgradevoli dei caratteri e delle forme.
Come al solito quindi, Rezza ripropone un’esperienza segnante – nella risata o nella riflessione, – tra l’altro nella cornice di uno spazio di grande valore simbolico per Pompei ed il vesuviano. Tanto basta per ricordare, ancora una volta con piacere, tutte le molteplici tonalità di voce ed espressione di quei personaggi, così lontani e così diversi da noi. Almeno come ci piace pensare.

Eduardo Di Pietro

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