Serafino Gubbio, la tragedia della modernità tra futurismo e voyeurismo
Teatro In Fabula mette in scena Serafino Gubbio operatore all’Orto Botanico, liberamente tratto dal romanzo di Pirandello.
Continua la rassegna “AggregAzioni” al Real Orto Botanico di Napoli diretta da Ciro Sabatino e questa volta ad ergersi in scena con maestria è stato il noto romanzo di Pirandello Quaderni di Serafino Gubbio operatore, la cui regia è firmata da Nello Mallardo e prodotta da Teatro In Fabula. Con eccezionale intensità corale, i giovani attori hanno dato vita alla scrittura-terapia pirandelliana muovendosi in scena come ingranaggi di una macchina tipica dei Tempi Moderni di Chaplin.
Una scenografia cubo-futurista tra Braque e Picasso e costumi di operai omologati e alienati, realizzati da Anna Verde e Antonio Genovese contribuiscono ad inserire il lettore nel clima del 1914-1916, anni nuovi per la storia dell’Arte, all’interno dei quali si dipana la triste esperienza di Serafino Gubbio, operatore cinematografico presso la casa di produzione Kosmograph, la cui presenza appare “noiosa e irritante” nonché a tratti inutile, adibita solo a girare la manovella di una macchina da presa che ingurgita la realtà; ma nello stesso tempo Gubbio è un acuto osservatore della realtà che lo circonda, grazie alla sua formazione filosofica.
In un momento storico in cui si esaltano le macchine e la tecnologia, Pirandello invece polemizzava contro queste ultime, considerandole colpevoli di mercificare la vita. Con Serafino Gubbio si mette in luce il conflitto tra l’autenticità dell’arte teatrale che è vita e la fredda ripetizione del mondo cinematografico che è forma, realtà ossessionata dalle politiche di marketing. La stessa casa di produzione Kosmograph, all’interno della quale Serafino occupa un ruolo marginale, sembra produrre operai mostri, vittime della modernità e della corsa contro il tempo, dove non c’è neppure tempo per riflettere sulla morte. E nella messa in scena di un poderoso romanzo pirandelliano non potevano mancare le maschere che, sulle tute da lavoro degli attori, sembrano rendere estraneo al mondo il povero Serafino, magistralmente interpretato da Peppe Cerrone, l’unico a non indossarla; cercherà di restare se stesso fino alla fine, quando quei mostri di una società costruita e fittizia, prodotti e scarti di un’avanguardia bellica, chiudono Serafino Gubbio in un’afasia, in un mutismo che è sinonimo dell’alienazione dell’artista e dell’intellettuale, sottraendo a questi ultimi il giudizio, l’opinione e la soggettiva osservazione della realtà.
Proprio nel momento in cui gli attori smettono di indossare la maschera ed escono dai loro movimenti meccanici e ripetitivi, danno vita ai personaggi del romanzo: la spietata attrice russa Varia Nestoroff, il regista Polacco, amico d’infanzia di Serafino, l’amico Simone Pau, l’aristocratico napoletano Aldo Nuti, il cacciatore Carlo Ferro, Luisetta e Fabrizio Cavalena, tutti oggetto di osservazione di Serafino che, svuotato della sua identità, finirà non più a prestare i suoi occhi alla cinepresa ma a donarglieli completamente, assurgendo a simbolo del voyeurismo cinico e sprezzante della telecrazia contemporanea.
Degni di nota sono anche gli originali inserti musicali di Luca Iavarone che sottolineano l’ambientazione futuristica con sonorizzazione metalliche e dissonanti allusive alla violenza della modernità sullo spirito umano. In scena, oltre al protagonista Peppe Cerrone, troviamo i sorprendenti Raffaele Ausiello, Stefano Ferraro, Pietro Juliano, Antonio Piccolo, Valeria Frallicciardi e Sara Missaglia, il disegno luci è affidato a Renato Zagari. Un romanzo contemporaneo e una messa in scena altrettanto originale, quella di Nello Mallardo, che decide di otturare gli obiettivi delle cineprese presenti nel mondo per aprire gli occhi degli spettatori all’autentica vita.
Marco Sgamato