“Si presenti al banco degli imputati, la Diversità”
Va in scena per la seconda serata in “AggregAzioni” Il Primo processo di Oscar Wilde.
Il Real Orto Botanico di Napoli è il suggestivo palcoscenico de Il primo processo di Oscar Wilde, spettacolo messo in scena nell’ambito del Festival “AggregAzioni”. Il progetto e la regia sono di Roberto Azzurro, la drammaturgia di Massimiliano Palmese, il testo è tratto dall’omonimo libro a cura di Paolo Orlandelli e Paolo Iorio.
Primo processo (il poeta verrà chiamato altre 2 volte a giudizio) intentato dallo stesso scrittore irlandese contro il marchese di Queensberry il quale, scoperta la relazione tra suo figlio e Oscar Wilde, l’aveva accusato di sodomia.
L’opera è incentrata sull’interrogatorio a Wilde (Roberto Azzurro) da parte dell’avvocato Edward Carson (Pietro Pignatelli). Il poeta è costretto a giustificare ed esemplificare il suo rapporto con Alfred Queensberry (Walter Cerrotta) e con diversi ragazzi di vita (Carlo Caracciolo) presentati alla sbarra dal cancelliere (Marco Sgamato).
La scenografia è piuttosto scarna ,mentre i costumi accuratamente scelti :frac, redingote, gilet ed i calzoni tipici dell’800. Le luci focalizzate esclusivamente sui 5 protagonisti.
Gli attori hanno dato prova del loro indiscusso talento, in particolar modo le prestazioni del regista e attore Roberto Azzurro e di Pietro Pignatelli sono meritevoli di lode, perfettamente in parte, tecnicamente perfetti e credibili.
Rendere a pieno l’ umorismo e il genio di Wilde era impresa assai ardua ,ma il bersaglio è stato centrato grazie all’utilizzo di un elevato ritmo comico e di un punto di vista chiaro.
La recitazione degli altri 3 co-protagonisti è a volte un po’ sopra le righe, ricalcando eccessivamente i vari stereotipi con i quali vengono perennemente rappresentati gli omosessuali.
Da qui l’interrogativo se uno spettacolo dotato di ironia e arguzia, propri dell’Intellettuale, necessiti davvero della facile risata che scaturisce da una “mossa” o grida effeminata.
Il pubblico ha assistito alla performance in maniera attiva ,senza corti circuiti mentali. Tutto ciò è sinonimo di un valido progetto.
La rappresentazione ha il pregio di generare diversi spunti di riflessione morale.
Questo timore della società dell’omosessualità, che costringe molti scrittori omosessuali a mascherare in qualche modo il loro mondo o a mettere in atto più o meno consapevolmente delle vere e proprie strategie di occultamento, non azzera però l’ansia di comunicare la propria verità che emerge in vari modi sia nei testi letterari sia nel modo di gestire testi ritenuti impubblicabili.
In molti di questi scrittori (James, Mann, Saba, Pasolini e naturalmente lo stesso Wilde) troviamo così un continuo alternarsi di detto e non detto, di autocensura e emergenza del rimosso, una attenzione a non far trapelare il proprio segreto (durante il processo Wilde nega o al massimo allude all’omosessualità) e nello stesso tempo la voglia di gridare al mondo il loro indicibile amore (è proprio lo scrittore che intenta la causa).
Ultima riflessione è sulla validità del processo.
Lo scrittore, come detto, si accompagnava spesso a ragazzi di vita, quindi spesso giovani e in difficoltà economiche.
Ora, si spera che sia oramai chiaro a tutti (almeno a molti) che l’omosessualità non è un reato e che quindi i due anni di carcere inflitti alla fine del processo a Oscar Wilde siano un abominio.
Se invece alla sbarra degli imputati non ci fosse l’omosessualità, ma la disparità sociale che conferisce al danaro, alla cultura e a qualsiasi altra forma di potere la possibilità di approfittare e di trarre un qualsiasi vantaggio dalla povertà o dall’ignoranza?
La Giuria ha raggiunto un verdetto?!
Marco Crisci