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La pazzia di Orlando, tra musica e parole, debutta al festival beneventano per la regia di Riccardo Veno.

Fonte foto Ufficio stampa

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Incanto e suggestione. Se fossero solo due le parole che potremmo spendere per raccontare di In Canto 34, andato in scena ieri sera in prima nazionale nell’ambito della seconda giornata della XXXII edizione di “Benevento Città Spettacolo”, sarebbero queste certamente le più consone. Quelle che più nell’immediato renderebbero l’idea dell’atmosfera “magica” in cui è immersa la storia dell’Orlando Furioso di Ariosto, impazzito per l’amore non ricambiato di Angelica, regina del Catai. Ed è in effetti un mago, Atlante, che ci accoglie sulla scena e ci guida tra le imprese dei cavalieri cristiani in guerra contro i saraceni. Impersonato dal bravo Paolo Cresta, per l’occasione chiuso in un video che ne incornicia solo il volto, Atlante racconta di imprese, vittorie e storie d’amore e di quanto accade nel suo palazzo dalla porta d’oro, il luogo in cui si intrecciano i destini dei protagonisti, metafora dell’esistenza umana turbata da miraggi vani che mai diventano realtà. Ad affiancarlo nel racconto, i versi del canto XXXIV dell’opera cinquecentesca, fatti rivivere con enfasi da Antonello Cossia, la cui interpretazione, che occupa un ruolo centrale nella messa in scena, regala corpo e movimento alle parole, restituendo loro la potenza  e la bellezza che gli è propria. A sottolinearne l’intensità, la musica di Francesco Albano (sinths, live eletronics) e Riccardo Veno (sassofoni, fiati, voce, live eletronics) che, talvolta da protagonista, talvolta in sottofondo, segna ogni passaggio del racconto, ogni svolta del destino, fissandone l’immagine nella mente di chi, rapito, ascolta.

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Amore e pazzia dunque, i sentimenti protagonisti. Causa ed effetto dei fatti che accadono ed evolvono, mostrano le debolezze di Angelica ed Orlando: la prima, sempre in fuga da chi la insegue senza mai raggiungerla, incarna il desiderio e la vita stessa che sfugge; il secondo, che dell’amore è vittima, invece, diventa suo malgrado simbolo di pazzia e scelleratezza. Cosa a questo punto potrà fargli recuperare la ragione? Solo il viaggio del fedele paladino Astolfo sulla luna, dove sono custoditi in ampolle di vetro i desideri degli uomini ed i loro senni, insieme a “Le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco…” e tanto altro ancora.
In conclusione, una particolare nota di merito al disegno luci a cura di Raffaele Di Florio, che con essenzialità ma efficacia esalta il naturale palcoscenico dell’Arco del Sacramento aggiungendo ulteriore valore a questo incantevole ed immaginifico “gioco teatrale”.

Ileana Bonadies

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