Manlio Boutique

“Oh, Signore, perché ci hai fatto nascere se non per essere assolutamente divini?”

Degli spettacoli andati in scena finora, e dei numerosi a venire, dedicati alla compianta figura di Annibale Ruccello (senza contare la messinscena dei suoi stessi testi), Compleanno di Enzo Moscato dev’essere il più vecchio, se non anche il più profondo. Scritto nel 1986, poco dopo la morte accidentale del drammaturgo stabiese, e da allora interpretato dallo stesso Moscato, conserva infatti un affetto e un dolore pulsanti, che non possono non emozionare costantemente il pubblico. Ricorre quest’anno il XXV anniversario da quel fatidico evento e dalla rottura dell’amicizia che legava i due autori.

La riflessione sulla “morte giovane” graziosamente letta da un ragazzo, come un futuro candidato all’amministrazione del rito che seguirà, ravviva lo spazio scenico. I palloncini appesi, il tavolo imbandito a festa e due sedie, di cui una centrale ricoperta di rosso, accolgono Moscato, il celebrante solenne che reca una torta di compleanno, con le candeline tutte accese. E proprio di rito parliamo, non riguardo la conta degli anni – compleanno o anniversario che sia, – né la consuetudine di un rito teatrale, quindi collettivo.
Si tratta di un rito della memoria, per cui «dedico a Ines, questo canto. A Ines, al teatro lirico, alle sue bambole. E anche agli storpi, con una striscia di stelle sulla testa calva, fino alla nuca. E dico in my heart forever».

Formule come questa e gesti rituali, come il verso alla gatta Rosinella e lo spargimento della coppa di spumante, si ripetono nell’evocazione del ricordo e della morte. “Una specie di esercizio quotidiano del dolore”, che richiama davanti agli spettatori Bolero, Jennifer e Donna Clotilde. La pratica espande così la valenza teatrale della messinscena, fino a rilevarne una portata più ampiamente antropologica.
Raccontare a Ines delle paradossali avventure di Spinoza, “ciuccia ‘e fuoco” e figlia in provetta, disporre cinque rose attorno alla sedia vuota, suonare la storia dell’“auciello cifrone”, simulare il suicidio, ogni atto della rappresentazione forma un preciso momento della cerimonia per Ruccello. Non si tratta certo di magia o superstizione, ma di un “riscatto della presenza” – De Martino ne direbbe forse, – operato da Moscato in teatro, in risposta allo scandalo della perdita e dell’esistenza. E tale operazione sortisce un effetto intimo e straziante per tutti gli astanti.

Presso la Sala Assoli del Nuovo, la compassione del pubblico, che pure si diverte in virtù dello spettacolo, del resto va oltre l’uscita di quella torta, senza che le candeline siano state spente. È diventata dolore quando, tra gli applausi, la luce riempie simbolicamente la sedia vuota e sola.

Eduardo Di Pietro

Print Friendly

Manlio Boutique