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Plutocrazie teatrali, teatro unico, trionfo della mediocrità e della disoccupazione.

Il divario tra le potenzialità creative e il sistema lavoro, inteso come organizzazione professionale ed economica dello stesso, distribuzioneproduzione, rispetto dei contratti,dignitàdiritti dei lavoratori del settore spettacolo, è sempre stato enorme nella nostra città, per cui, è tragicomico il paradosso, che altrove ci invidino e noi qui si muoia.

Oggi, però, la situazione si è fatta insostenibile, perché la lobby massonico-plutocratica, politicamente trasversale, che ha sostituito la precedente nell’esercizio del potere, sta,sistematicamente strategicamente, facendo piazza pulita di tutto ciò che non siafunzionale alla centralità di un unico teatro di casta, che accentri, cioè, tutte le risorse economiche, previste per il settore spettacolo, nelle proprie mani. Del resto, la frottola mistificatoria del non ci sono più soldi è facile da smentire, basti, per tutti, l’esempiodell’Opera da tre soldi, costata 720mila euro, realizzata con i quattrini dei Fondi Fas europei, destinati alla ripresa delle aree sottosviluppate e, se non bastasse, aggiungiamoci le rendite che la casta dei direttori dei Teatri Stabili italiani può permettersi, mentre tutto il restomuore.

Per gli scettici e coloro che mi accusano di essere politicamente di parte, cito ancora, i Fondi Arcus, un’emanazione del Ministero delle Infrastrutture, parallela al più famoso FUS, che spende per la “cultura” vaticana e le clientele governative di qualsiasi colore, più dell’ammontare dell’intero FUS, e ancora, episodi locali, come gli 8 milioni di euro spesi in Sicilia, per un Festival del “nulla”, che forse perciò si intitola al “mito”; il numero imprecisato di milioni di euro destinati al Forum delle Culture, altro oggetto misterioso in mani bipartisanl’Agcom, organismo funzionale alle censure volute dal nostro Trimalcione al Consiglio, che elargisce alleTv private, durante le elezioni, per passaggi di 41 secondi, quanto tutto il budget ministeriale del settore prosa e, dulcis in fundo, aggiungiamoci pure i finanziamenti regionali di 400 mila euro dati a Gragnano per la Sagra della Pasta, più quello che sperpera a suo piacimento la Provincia, nelle mani di un inquisito per collusioni con la camorra e il quadretto del non ci sono soldi, appare in tutta la sua lampante falsità.

Prevedo le reazioni di chi mi farà notare che la cosa si è ripetuta in passato anche con ilcentrosinistra al potere, come se non lo sapessi, ma gli rispondo da subito, che, non si era mai verificata, però, in questa Regione, una situazione di monopolio culturale ed economico, tantodiscriminatoria nei confronti di imprese, lavoratoripubblico, che condanna tutto il teatro alla egemonia plutocratica della mediocrità.

Quando parlo di mediocrità non mi riferisco solo alla notoriatangibile incompetenza professionale artistica di chi è, proprio per questa sua caratteristica, funzionale a questo sistema di potere rozzo, ignorantetruffaldino e da questo potere è posto al comando e messo in condizione di nuocere all’intera comunità, ma mi riferisco, anche, a chi,trasversalmentefingendo di combatterlo, usufruisce dei benefici del consociativismo.

Ecco come stiamo combinati in questo momento storicoNapolidintorni, devi, cioè, guardarti dai nemici e dai cosiddetti “amici”.

La Regione Campania tiene per le palle, espressione colorita ma efficace, l’intero mondo imprenditoriale, con l’arma del ricatto economico e mentre con una mano blocca fondi, delibere, assegnazioni dal 2009,  con l’altra, quella discrezionale del Presidente, elargisce quattrini agli “amici”, tacitando così la protesta e il dissenso dei sudditi.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: disoccupazione, strutture lavorative costrette a chiudere o amigrarelavoratori del settore ricattati, costretti a lavorare sottopagatinon pagati affatto.

Il  rischio della truffa si annida, ormai, dovunque, pubblico privato. E’ capitato al sottoscritto, di essere fregato tanto dal pubblico che dal privato, di firmare, cioè, contrattinon onorati da ben 2 anni, tanto con il Napoli Teatro Festival che con un’impresa privata, un tempo onorata di questa città. Nelle mie stesse condizioni ci sono tanti attori emaestranze, che continuano a porsi una semplice domanda:

Come si fa a proseguire, senza vergogna, la propria attività imprenditorialequando si tradisce deontologicamente la propria professione?

Sì, perché, le attività delle realtà in oggetto, sono proseguite imperterrite, alla faccia deilavoratori non pagati.

Denunciare questo stato di cose, per molti, significa non lavorare più, dunque, il silenzio nel nostro settore, mai come oggi, è assordante venefico.

Gli argini sono saltati e l’ondata di piena dell’ignoranza, del cinismo, dell’arroganza, dell’incompetenza, del menefreghismo ha, già, travolto i più deboli, mentre quelli deipiani alti, assistono alle disgrazie altrui e si fregano le mani perché la “ricostruzione” è tutta nelle loro mani e li arricchisce.

Quando parlo con i colleghi e gli amici, si lamentano tutti,  ma nessuno sa come fare adifendersi.

Questa rassegnazione settoriale, solo in parte è dettata dalla sfiducia nell’opposizione ad un sistema sempre più, trasversalmente, mafioso, per cui, di fatto, devi camminare parandoti il culo da amici nemici.

La motivazione più forte della latitanza della protesta, della ribellione nel nostro settore, è dovuta, piuttosto, all’assenza totale di sistematizzazione del lavoro, alla assenza di regole certe, di diritti e doveri, di professionalizzazione del settore.

Tutte queste belle cose, non si sono mai ottenute nella storia dei lavoratori dello spettacolo, perché amiamo definirci ed essere definiti artisti e l’arte si sa è opinabile, soggettiva, effimera.

Per la verità la questione è delicata.

La natura giuridica del lavoro dell’attore è di per se contraddittoria nel nostro Paese, né potrebbe essere altrimenti, visto che non ci sono titoli legali che servano ad attestarla. Qualche voce al nostro interno, a dir poco ingenua, pretenderebbe la costituzione di un albo professionale. A parte il fatto che nessuno avrebbe i titoli legali per iscriversi, quanto, poi, nessun albo professionale potrebbe mai costringere  un’impresa ad assumere un attore, perché l’attore lavora solo se è scelto per lavorare.

Il problema dell’attore nasce, dunque, alle sue origini.

Come si diventa attori? Esiste una qualifica, professionalmente, riconosciuta dallo Stato? Essere riconosciuti “attori” da automaticamente diritto al lavoro? Conta la bravura? Che si intendeper bravura?  Bastano solo queste poche domande per comprendere che ci muoviamo in un campo minato.

Ciascun attore o regista ritiene di esserlo, ma non è detto che lo sia.

Discorso un po’ diverso è quello per le figure più tecniche, che non a caso sono quelle che hanno la quasi certezza della retribuzione e fanno valere meglio i loro diritti.

Si potrebbe concludere con un mezzo paradosso, asserendo che in Italia è attoreregista chiunque lo fa, a patto che qualcuno, da qualche parte, come spettatore se ne accorga.

Non credo che ciò sia sufficiente, né che stimoli alcuna legislazione in merito, credo, piuttosto, che occorra che in Italia, tutto il sistema lavoro, che gira intorno alla parola magica spettacolo, che a sua volta gira intorno alla parola magica cultura, abbia bisogno di essere totalmenteriformato, secondo regole certe, al passo con il resto dell’Europa, regole che riformulino eidentifichino, in maniera chiara per tutti, chi è l’artista, riponendolo correttamente al centro dell’intero sistema, insieme a creatività, cultura, pubblico e formazione professionale.

Non è cosa facile, soprattutto in un momento come questo, dove la plutocrazia ne approfitta per assestare al mondo del lavoro, colpi duri, definitivi e mortali, tornando a discriminare il pubblico, secondo le sue possibilità finanziarie, ciò che fa affermare ad un pur stupido eraccomandato direttore di Teatro Stabile, che il Teatro Pubblico deve essere un teatro per la borghesia, meglio se ignorante, così da non saper riconoscere chi, come lui, pratica teatromortale (cito Peter Brook), che semplicemente è  non teatro.

Occorrerebbe rivedere tutto il sistema del finanziamento pubblico, marcio ed obsoleto, che invece di favorire la crescita, lo svecchiamento e lo sviluppo del settore, cura solo quello delle clientele politiche e delle oligarchie imprenditoriali.

Occorrerebbe il riconoscimento del nostro status di lavoratori, che oggi di fatto non esiste, un sistema di ammortizzatori sociali, che ci equiparasse agli altri lavoratori del settore inEuropa in quanto a dignitàprofessionalitàremunerazione.

Basti per tutti l’esempio francese.

 

In Francia esiste, dagli anni 30, una reale volontà politica, che riconosce ai lavoratori dello spettacolo uno statuto unico, L’INTERMITTENZA DELLO SPETTACOLO, chiamata così per la natura “a intermittenza” propria del nostro mestiere. Un intermittente dello spettacolo è una persona che lavora per intermittenza, è un lavoratore che lavora sempre ma che è pagato per il suo lavoro solo ogni tanto.

Egli alterna periodi di impiego e periodi di disoccupazione indennizzata.

sindacati hanno creato dei dispositivi propri per garantire agli intermittenti,  l’accessibilità all’indennizzo della disoccupazione sulla base del fatto che si tratta di una categoria che di raro lavora in CDI (contratto durata Indeterminata), mentre lavora quasi esclusivamente con contratti anche di un solo giorno.

In Francia un lavoratore dello spettacolo è un lavoratore salariato, non un libero professionista.

 

Occorrerebbe ridistribuire la ricchezza, riequilibrare i salari, eliminando i privilegi e lesuper paghe, per legge, favorire l’accesso dei giovani al lavoro, restituire forzasenso alla progettualità, che sola può ridare solidità al futuro lavorativo di lavoratori e imprese.

Occorrerebbe che i direttori di Stabili e di Festival, fossero assunti attraverso Bandi Pubblici trasparenti, che i rispettivi incarichi fossero incompatibili tra loro e che fossero obbligati ad operare durante il loro mandatoesclusivamente come direttori. Chi copre una carica didirettore di un Teatro Stabile non può ricoprire altro incarico per tutta la durata del suo mandato; chi manovra denaro pubblico deve dar conto del suo operato ai cittadini e nelle sue scelte deve rispondere a criteri trasparenti pubblici di valutazione; unTeatro Pubblico deve rapportarsi con la città, monitorare artisti, tendenzecreatività e non può, soprattutto quando gestisce la programmazione di più sale teatraliomologarne leprogrammazioni, seguendo criteri privatistici e operando scelte classiste, seguendo, cioè, opinioni e gusti del tutto personali; un Teatro Pubblico non può essere dedicato ad una solaclasse sociale e quando si  gestiscono più sale cittadine, che significano lavoro per diversecentinaia di persone, si dovrebbe, come minimo, presentare un progetto culturale eprogrammatico stagionalediversificato per ciascuna delle sale annesse allo Stabile, in relazione con territorioscuoleospedaliuniversitàistituti di ricercaoperatori sociali e le varie categorie sociali, giovanidonnebambinistudenti, operai, pensionati, e le categorie del disagio sociale, disabiliimmigrati, e così via.

Occorrerebbe che strutture istituzionali finanziate con i soldi europei destinati alle aree sottosviluppate del mezzogiorno, quali il Napoli Teatro Festival e il Forum delle Culture, formassero i loro programmi in maniera trasparentepubblica, mediante Bandi Pubblici e che tali organismi istituzionali rendessero conto alla cittadinanza del danaro speso, persul territorio, in quanto, lo scopo precipuo dei Fondi FAS europei, è quello dicreare lavoro, non momentaneamente e per pochi, ma in prospettiva futura.

Ancora un punto deboleirrisolto nel sistema lavoro qui al meridione, in particolare, è la scadente diversificazione professionale del lavoro. Basti solo pensare alle occasioni di lavoro per un attore, un tecnico, un regista, un autore, uno scenografo, un designer luci, insomma chiunque lavori nel campo dello spettacolo, se nasce a Milano o a Roma. La diversificazione delle possibilità di inserimento vanno dal teatro, al cinema, al doppiaggio, alla pubblicità, alla televisione, alla radio.

Cinemadoppiaggio sono tesori romani, la pubblicità è prevalentemente milanese, così come la televisione, se si escludono Squadra Posto al sole. La radiofonia, che era un patrimonio di  straordinarie competenze, oltre che lavorativo, di grande prestigio per Napoli, i cui studi RAI erano invidiati in tutt’Italia e dove c’era persino una sala di doppiaggio, oggi è in totale disarmo.

Occorrerebbe riportare la radiofonia a Napoli e provare a spostare un po’ della vastacommittenza nel mondo del doppiaggio, anche nella nostra città.

Un ultima considerazione sulla tendenza plutocratica al monopolio globalizzato delTeatro Unico e sulle sue disastrose conseguenze culturali e occupazionali, una volta tanto voglio spenderla a difesa del lavoro delle piccole sale teatrali, di quelle realtà indipendenti, che svolgono nell’ombra, nell’indifferenza e nel fastidio dei ricchi plutocrati, il loroindispensabile lavoro.

Le piccole sale teatrali, sono la linfa vitale che consente la sopravvivenza di tutto il teatro, ricco o povero che sia. Sembra un paradosso retorico, ma non lo è. Senza i piccoli teatri, non nascerebbero attori, autori, registi, tecnici e soprattutto non nascerebbe il pubblico, perché nessun Teatro Stabile, privato o pubblico, è in grado di esaudire tanta generale richiesta diespressività, creatività e di lavoro in teatro, né, tantomeno, è libero di operare svincolato dalle esigenze del burocratese teatralecampo minato della creatività, oggi, più che mai, sottomessa al giogo della politica e del cosiddetto mercato.

Cito un episodio esemplificativo di quanto affermo. La prima volta che vidi Moscato, fu al Crash, uno scantinato di Via Atri, dove presentò Occhi gettati. Ecco perché è ottusosuicida, oltre che ignorantepresuntuoso, chi, aspirando ad un sistema teatrale pluto-oligarchico, si adopera per la sparizione delle piccole sale teatrali, ritenendole artisticamente, economicamente e politicamente inutili.

Non  occorre finanziarle, basterebbe aiutarle ad esistere, favorendole con una pubblicità comunale gratuitainsegne stradali che aiutino a rintracciarle e a pubblicizzarne l’esistenza, una buona illuminazione stradale, basterebbe aiutarle a stipulare accordi con SIAE edENPALS più equiconsoni alle loro realistiche possibilità di incasso; insomma non si può equiparare una Sala da 40 posti ad una di 1000, a capir questo, ci riuscirebbe anche unbambino, ma ai nostri strateghi del burocratese teatrale tutto questo sfugge, o megliofingono che non esista, sperando che, nel silenzio venefico di chi, impaurito dalla crisi, si rintana e tace, lentamente, una dopo l’altramuoiano le occasioni di indipendenza creativa e abbia finalmente libero sfogo, anche in teatro, il TRIONFO DELLA MEDIOCRITA’.

 

Sarebbe tempo che si parlasse di un piano per la crescita, anche per culturaspettacolo,sarebbe tempo di convocare gli Stati Generali del Teatro e della Cultura o, semplicemente della Creatività, per non continuare ad assistere a proclami sensazionalistici, fatti pure inbuona fede e condivisibili, ma che non sono in rapporto con la realtà fin qui descritta, come l’elezione dell’amato Vecchioni al Forum delle Culture.

Meglio un artista che un politico, mi di dirà.

Vecchioni è il simbolo indiscusso del se non ora quando, un artista impegnato arestituire un’idea di futuro alle giovani generazioni attraverso l’insegnamento e leparole delle sue canzoni, un artista stimato e la cui sensibilitàintelligenza, sono fuori discussione.

Lo si può, dunque, gettare nella mischia senza una motivazione vera?

Senza un vero perché, ponendolo a capo di un’Istituzione come il Forum delle Culture, senza porsi il problema che la sua imposizione possa essere interpretata come un’ulterioreregolamento di conti o, peggio, un altro proclama sensazionalistico del tipo MadonnaGabriel a Napoli?

Il problema vero del Forum è che è l’ennesimo organismo inventato per manovrare milioni di euro pubblici e a tutt’oggi non ha uno straccio di progetto culturale credibile per ilterritorio, nonostante operi con Fondi Europei le cui finalità sono l’eliminazione del divario discriminatorio nord-sud e la valorizzazione dei  territori sottosviluppati a cui tali Fondi sono destinati.

Non è, dunque, un problema da Elio e Le Storie Tese, Vecchioni sì… Vecchioni no!

Ci vuole un PROGETTO, FINALITA’, RISORSE, PROGRAMMAZIONE, TRASPARENTI,altrimenti il Forum continuerà ad essere solo uno strumento per formare consenso elettorale, beneficiando clientele politicheimprenditoriali, secondo le convenienze delpotere del momento , di qualunque colore esso sia.

Carlo Cerciello

 

 

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