Il Teatro si “prostituisce” per rinascere
Il Bellini inaugura la stagione con l’ingegnosa messa in scena di Luciano Melchionna.
Che il teatro sia in crisi è cosa ormai ben nota, che arrivi addirittura a prostituirsi, per potersi salvare dal baratro in cui sta precipitando, è una novità. Ovviamente la “prostituzione” di cui si parla è puramente metaforica o quasi. Il teatro Bellini per la messa in scena di Dignità autonome di prostituzione cambia letteralmente veste, le luci diventano tutte rosse e gli spettatori vengono accolti all’ingresso di questa “casa chiusa dell’arte” da un’ambiente che si discosta totalmente dall’atmosfera teatrale per immergersi nell’atmosfera di un novello Moulin Rouge, in cui ogni anfratto diventa palcoscenico per una piccola esibizione.
Dopo una breve attesa, l’amministratore della maison, annuncia l’inizio dello spettacolo o meglio della serata: l’inizio dell’orario di lavoro degli attori/attrici prostituti/prostitute di questo bordello dell’arte. Non si tratta di spettacolo, o almeno non ancora. È una vera e propria festa, si parte con un’introduzione musicale di tutti i 35 attori coinvolti, poi sullo schermo a ridosso del sipario viene proiettato uno spot pubblicitario dello stesso Melchionna dal titolo “Il teatro torna a casa” che termina con l’art.9 della costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», che introduce a pieno il motivo di questa audace messa in scena: denunciare la crisi del teatro e la condizione attuale dei teatranti.
Subito dopo il soprano Mariateresa Polese (che si alterna nelle varie serate con Mariangela Vitulli)intona la struggente “Vissi d’arte” dalla Tosca di Puccini, dopo il meritato applauso sullo schermo partono le immagini de “La preghiera del clown” recitata da Totò nel film Il più comico spettacolo del mondo di Mattoli. Dopo aver chiarito gli intenti della serata bisogna spiegare le regole che vigono nella casa e illustrarle sarà compito della strana famiglia di maitresse: Lia (Daniele Russo), la sua ragazza ninfomane Wanda (Clio Evans) e i suoi fratelli Cerebro (Gabriele Guerra) e la frigida (Gaia Benassi). Le regole sono semplici: con i dollari consegnati all’ingresso gli spettatori/acquirenti potranno pagare l’attore/attrice che vogliono vedere contrattando il prezzo con una delle maitresse presenti in platea. Finiti i dollari se ne possono acquistare altri per continuare il giro nel bordello fino a quando se ne ha voglia. Ovviamente per ragioni di tempo è impossibile vedere tutte le 35 performance ma la struttura dello spettacolo senza dubbio invoglia a comprare qualche altro dollaro per assistere almeno ad un altro paio di performance, nel complesso tutte molto interessanti (da sottolineare la grande capacità di concentrazione di tutti gli attori messi a dura prova dalle pause e dai cali di tensione tra un’esibizione e l’altra). Se si finiscono i dollari però non si sta certo in attesa senza far nulla, in platea (il centro del bordello, in cui per l’occasione sono state sradicate molte poltroncine) è una continua festa di musica e canzoni ed un continuo passaggio di attori/attrici che cercano di abbordare qualcuno per convincerli a seguirli e ad assistere alla loro performance.
Nonostante il finale di spettacolo annunciato a mezzanotte, la messa in scena va molto oltre per permettere a tutti gli spettatori di concludere il proprio personale giro nel bordello, tutto si conclude verso l’una e mezza e forse l’unica pecca di questa rappresentazione, ben allestita e senza dubbio anche provocatoria, sta proprio nell’eccessivo e inevitabile dilungarsi della serata che potrebbe anche stancare alcuni spettatori.
Gennaro Monforte
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Tra le tantissime performance proposte ne abbiamo seguite 6 di cui vale la pena fare un piccolo approfondimento per entrare più nel merito delle tematiche affrontate, al di là della struttura generale della messa in scena.
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LA MEGLIO DI NIENTELa meglio di niente è portatrice di un’infanzia distrutta dalla violenza di un padre e dall’assenza di una madre “con troppi amici uomini”. È fuori da ogni dubbio che una simile esperienza segni in modo inevitabile la psiche di una ragazza e il suo futuro. La protagonista di questa vicenda viene segnata a tal punto da subire uno sdoppiamento di personalità (si badi bene: non è pazzia ma una crescita forzata dall’esperienza) che si manifesta a pieno durante il racconto della violenza e delle sue successive esperienze sessuali che la portano anche ad entrare nel tunnel della droga. Serenella Tarsitano si muove su grandi ritmi alternando in modo ottimale e con estrema distizione le due personalità, senza mai evidenziare il dolore che la violenza le ha comportato ma mostrando una grande forza d’animo nel sopportarlo. Il monologo culmina poi nell’intenso finale in cui si evince ciò che più di tutto ha segnato la sua infanzia, l’assenza della madre. La Tarsitano, ottima interprete, ci mostra un’ulteriore sfaccettatura della sua personalità, un terzo lato, finora nascosto, della protagonista che si commuove al ricordo dell’unico momento della sua vita in cui la madre è riuscita a starle accanto per una giornata intera, facendole capire per l’unica volta nella sua vita il significato del “voler bene”.
L’ANARCHICOCapelli raccolti buffamente ai lati, in due ciuffi ondulati e poco generosi, grembiule da scuola elementare, l’“anarchico” prima di cominciare a esporre le sue contrastate idee si assicura che nessuno stia spiando attraverso porta e finestra, né che ci siano vani nascosti, oltre i muri. Il pubblico è raccolto in uno stretto stanzino pieno di fogli strappati da vari testi, qui ordinati a tappezzare le pareti, lì accartocciati disordinatamente per terra, tra le sedie e qualche libro. Davanti a tutti, una lavagna utile all’esposizione del tema: “Chiudiamo le scuole”, di Giovanni Papini. Svolgimento: il sistema scolastico in generale e quello italiano in particolare, così com’è, è deleterio e va soppresso poiché «essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha – tra l’altro – contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali». Rivelandosi progressivamente professore, Marco Mario De Notaris interpreta un testo del 1914, che sembra tuttavia fresco di giornata per modernità e acume critico. Spiegazioni scomode per il sistema e chi vi è conficcato, ma piacevoli per leggerezza ed energia dell’attore: se l’istruzione fosse tutta qui, allora ognuno direbbe davvero “viva la Squola”!
L’INEVITABILEInevitabile non è solo la morte, inevitabile è anche ciò che ci succede quando un evento si abbatte su di noi con tutta la forza della sua tragedia. È quello di cui si rende conto la protagonista di questo brano di Daniele Scarpati (titolo originale L’ultimo atto) che ci racconta la sua vita dividendola in 4 “atti”. Con una grande carica emozionale, l’attrice Cinzia Cordella, ci racconta del burrone in cui precipita a causa della morte della madre; morte che la colpisce come un diretto in pieno viso e diventa input per un crollo emotivo che la porta a rifugiarsi nel mondo fittizio di una chat dove ognuno può essere quello che vuole, dove puoi trovare aiuto nelle parole di qualche sconosciuto che non è lo strizzacervelli che di te sostanzialmente se ne fotte, dove una parola di conforto può diventare un tranello che ti porta a cadere ancora più in basso, dove un semplice nickname ed una frase ti possono portare anche alla follia.
L’INQUISITOREQuesto brano, tratto da Il grande inquisitore di F. Dostoevskij e interpretato magistralmente da David Gallarello, è un’aperta critica alla chiesa e ai suoi metodi che non rispecchiano per nulla l’insegnamento di Cristo che si evincerebbe dalle scritture. Ambientato in Spagna nel periodo più buio del ‘500, quello dell’inquisizione spagnola, presenta l’ambizione sfrenata di controllo della chiesa che viene improvvisamente fatta vacillare dal ritorno di Cristo, mai chiamato per nome ma sempre dichiarato come “Lui”. “Lui” viene acclamato come salvatore dal popolo. “Lui” viene incarcerato come eretico dal grande inquisitore. “Lui” ha portato scompiglio in un’umanità che, ancora una volta, non si farà scrupoli a condannarlo e appiccherà con le proprie mani il fuoco del suo rogo. Il popolo non ha bisogno di libertà e di pane spirituale ma ha bisogno di una guida che gli annulli il libero arbitrio e che gli dia il pane “terreno”, una guida che sarebbe da inviduare nella sua stessa figura e quindi nella struttura ecclesiastica.
LA MADREIn un monologo ad alta densità emozionale, La madre impersonata dalla delicata Tiziana Avarista, condivide con gli spettatori tutto il dolore e la realizzazione di una perdita come quella di un figlio. Trasandata e depressa, a tratti sussurra i suoi sentimenti quasi rivestiti da un alone di colpevolezza, altre volte sembra cedere alla frustrazione. Tra le sue mani stringe e accarezza il simbolo di un cuore desolato e in attesa di ritorno, una gabbietta per uccelli aperta in cui, racconta, teneva il suo “cucciolo” solo per dischiudere le finestre e cambiare l’aria di casa al mattino. Per tutto il tempo passato insieme, la madre reclama invece la libertà, che era sempre stata una sua preoccupazione, sia per sé che per l’amato. Un amore che, filtrato dai ricordi, eleva l’oggetto dell’amore stesso al di fuori di ogni categoria: uccello o figlio non importa più, si tratta ormai di un veicolo per realizzare liberamente le proprie emozioni. «Me lo ripeteva sempre, la libertà non è essere “liberi da”, ma essere “liberi di”» ammette il genitore affranto. A costo di tanta sofferenza, arriva così a poter mettere da parte la gabbia, a gridare «Ti amo!» più volte, in un’esplosione finale e a poter ballare libera, alla luce di una tv mal funzionante, fino allo spasimo.
L’ONANISTAL’onanista è forse la più breve performance della serata ma al contempo una delle più intense. Il monologo, tratto da Il lamento di Portnoy di Philip Roth, è messo in scena da Angelo Tantillo che presenta un personaggio vivo, che racconta tra passi di tip-tap e intense pause la sua storia, la storia di un ragazzo affetto da una morbosa dipendenza che alla fine lo porta ad avere un cancro. Il monologo come detto si muove tra attimi di grottesco divertimento e attimi di riflessione e ricorda tanto il monologo sulla masturbazione di Giorgio Gaber, una patologia presentata con toni grotteschi ma allo stesso tempo una tragedia interiore rappresentata con estrema crudezza.
Teatro Bellini
Via Conte di Ruvo, 14 – Napoli
Contatti: 081 549 12 66 – botteghino@teatrobellini.it
Orari:
9, 20, 25, 26, 27 aprile ore 21:00 – 21, 28 aprile ore 18:30
2, 3, 4, 9, 11 maggio ore 21:00 – 5, 12 maggio ore 18:30
Biglietti: da 21 a 17 euro