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Lo spettacolo del Napoli Teatro Festival 2010 rielaborato da Giuseppe Miale di Mauro, sarà in scena fino al 27 novembre.

La città perfetta non esiste. Esiste una città, preda delle brame di potere della criminalità, e in particolare di un clan, che ha imposto il proprio dominio aspirando al controllo perfetto del territorio. Su tale progetto ha costruito un regno che, come i regni più estesi e ricchi, fa paura ma anche gola a parecchi ed è dilaniato da intrighi sotterranei. Apparentemente inconsapevole, a capo di tutto ciò vi è il Re, Sarracino, che si compiace della sua forza, dei suoi fidati sottoposti e della bella Eva, la donna che lo affianca e che non tarda a rivelare il suo odio nascosto, con i suoi disegni di tradimento. Il boss, interpretato da Pippo Cangiano, tiene uniti i suoi uomini come in una famiglia, dove vige la fiducia reciproca e il rispetto verso il re, dove è necessario far scorrere il sangue di chi non è fedele e mina l’equilibrio del potere. Di fatti gli uomini che affollano la scena non sembrano aspettare altro, come cani rabbiosi addolciscono lo sguardo solo quando incrociano il padrone, e per il resto del tempo traboccano di ferocia, ridotti dalla violenza delle proprie vite alla bestialità.

È proprio la condanna e l’esecuzione di un traditore, Gomez, che apre La città perfetta a Galleria Toledo, con il suggestivo quadro della famiglia regnante che si rompe, per vedere cadere il corpo di uno dei soggetti in posa ai piedi del trono. Lo spettacolo con la regia di Giuseppe Miale di Mauro, che ha curato anche l’adattamento dell’omonimo testo con Angelo Petrella, l’autore stesso, rilascia da questo momento i variegati fili dell’avvincente trama, piena di cambiamenti di fronte, complotti, ombre e morte.
Soddisfatto della protezione che i suoi figli gli hanno dimostrato, Sarracino affianca all’ambizioso Beckenbauer, il suo prediletto Sanguetta, così da sentirsi al sicuro. Il primo, interpretato dal sempre convincente Francesco Di Leva, con il suo repertorio di salti stile Gomorra teatrale, apre le danze rivelando il proprio risentimento verso la scelta del Re, e farà sì di liberarsi dello scomodo compagno facendolo arrestare.
Lo stesso Sanguetta intanto, nei cui panni troviamo un Adriano Pantaleo ad alta carica emozionale, scopre l’intrigo che è costato la vita a Gomez (Salvatore Presutto) per l’azione di accerchiamento che lo Stato sta sviluppando segretamente intorno al regno di Sarracino, e che coinvolge Eva (Lorenza Sorino) e suo fratello Champagne. Proprio a questo personaggio va rivolta poi particolare attenzione, sia per l’estro con cui Giuseppe Gaudino l’ha caratterizzato, sia per la sua peculiarità di finto sciocco, anzi “chiochiero” per interesse, che d’altro canto dimostra la più lucida capacità di lettura e consapevolezza degli avvenimenti che travolgono i personaggi, vittime di un destino incontrollabile.

Il linguaggio figurato cui fanno spesso ricorso i protagonisti della storia e le situazioni definite dalle loro progressive mosse, richiamano anche il metodo sulla base del quale la narrazione evolve: una partita a scacchi tra il regno del Sarracino, l’Antistato, e lo Stato. In particolare l’organizzazione dei pezzi risulta ben riconoscibile in relazione alle caratteristiche dei componenti del clan. Il Re, sua auto-definizione, è incarnato dal Sarracino, che ha possibilità di movimento limitate, ed è l’elemento principale attorno a cui si sviluppa l’intero gioco: solo mentre dorme hanno luogo le trame di palazzo e i cambi di fazione. Al suo fianco, con le migliori capacità di spostamento, fino ad arrivare ai piedi degli statali nemici, c’è Eva, la donna. Gli alfieri, nei personaggi di Gomez e Champagne, sono componenti di grande importanza strategica, ma che all’inizio dell’azione possono facilmente restare incastrati tra gli altri pezzi, limitati nelle potenzialità e rischiando la permanenza sulla scacchiera (leggi: la vita). Infine i pezzi pesanti, Sanguetta e Beckenbauer che, come le torri, dichiarano di sacrificarsi per il Re, possono arroccare e proteggerlo.
Da notare che, il braccio dello Stato, L’Americano (Arturo Scognamiglio), l’incappucciato feroce e istintivo, entra ed esce dallo scacchiere scenico proprio come una torre, muovendosi per linee orizzontali e verticali.

Si gioca così la partita eterna del potere, nella tragedia di questo spettacolo impetuoso, tra il regno del Sarracino sulla città che tutti i pretendenti al trono credono di poter rendere perfetta, e lo Stato corrotto, impersonato dal compassato e lungimirante Omissis (Ivan Castiglione). A fine partita le sue scelte avranno condotto Sanguetta sul trono, quasi controvoglia allo scacco matto, senza negare gli ideali di fedeltà e cedere completamente alle manovre ingannevoli dello Stato. Ma che questa sia una partita ciclica è fin troppo evidente, Sanguetta promette di riferirsi all’ordine statale nell’esercizio del suo potere, proprio come forse aveva avuto intenzione di fare Sarracino, secondo accordi traditi che Omissis gli rinfaccia più volte. E se i regni si creano e si distruggono con tanta prevedibilità e così poca chiarezza, di chiaro non può restare altro che la nostra vita da spettatori del potere, la vita dei sudditi.

Eduardo Di Pietro

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