Gaetano Amato: tra teatro, cinema e scrittura è una questione di benzina
L’attivissimo artista racconta a QuartaParete le sue ultime esperienze e i lavori che lo impegnano su più fronti.
QuartaParete intervista Gaetano Amato: attore teatrale, cinematografico e televisivo stabiese, noto per la partecipazione a serie di successo quali La Squadra ed Il Grande Torino, oltre che scrittore per il cabaret e il teatro. Da poco tempo è stato pubblicato il suo terzo romanzo, Gioco Segreto (ed. Testepiene) ed è tuttora impegnato nelle presentazioni per librerie ed eventi.
– La sua carriera artistica è partita più di venti anni fa, ma prima di iniziare a recitare ha lavorato negli ambiti più differenti: è stato bagnino e insegnante di educazione fisica, ad esempio. Volendo gettare uno sguardo al passato, come si è avvicinato al teatro e come ha cominciato la professione dell’attore?
Per caso. Ho accompagnato un amico che frequentava un corso di teatro biennale. Sono salito sul palco perché indotto a farlo e contro la mia volontà, e dopo tre mesi debuttavo nel ruolo di Palestrione nel Miles gloriosus mentre il mio amico continuava a fare la scuola.
– Le sue partecipazioni spaziano tuttavia anche nel cinema e nella televisione. Preferisce le repliche teatrali o la macchina da presa, e perché?
È uguale. Qualsiasi cosa è valida se ti da soddisfazione. Certo il contatto diretto col pubblico ti da una emozione che la freddezza dello schermo ti toglie, però quando sei soddisfatto di quello che hai fatto, qualsiasi mezzo ti soddisfa.
– Guardando alla grande versatilità tra generi che caratterizzano le sue esperienze da attore, ciò che spesso le viene chiesto è se ama impegnarsi di più in ruoli drammatici o ruoli comici. Eppure i primi premi che ha ricevuto provengono dal mondo del cabaret ed ha dichiarato che trova più soddisfacente far ridere il pubblico.
A fronte di tutto ciò, per Gaetano Amato è più serio fare il genere comico o quello drammatico? E qual è o quali sono le esperienze comiche che ricorda con più piacere?
Fare ridere è un’impresa anche se oggi la gente si accontenta di poco. Quattro male parole e via. Un po’ di tempo fa era diverso. Salivi su un palco e se la gente non cominciava a ridere dopo 30 secondi il sudore cominciava a bagnarti la schiena. C’era meno faccia tosta, meno improvvisati. Ora tutti copiano tutto. Alcuni miei testi hanno fatto il giro d’Italia e non mi è stato dato un soldo di Siae. Sicuramente l’esperienza che ricordo di più è il Premio Charlot per il cabaret. Una grande emozione. 320 votanti e 290 avevano votato per me.
– Il suo ultimo lavoro al teatro è stato Il giudizio universale con la regia di Armando Pugliese. Ci racconti qualcosa di questa esperienza.
Lavorare con Pugliese è sempre una grande esperienza. Ti insegna tanto anche quando soltanto ti guarda. Era difficile riprendere un capolavoro del cinema e portarlo in teatro, ma Armando è riuscito anche in questo.
– Doveroso un riferimento anche al suo ultimo impegno cinematografico: parliamo di Bop Decameron, il film girato da Woody Allen in Italia, a cui ha preso parte in agosto. Com’è andata?
Lavorare con gente come Allen ti fa far pace con il tuo lavoro. In Italia ultimamente la recitazione è appannaggio di chiunque non trovi altro da fare. Tengo un figlio ritardato, che gli faccio fare? L’attore. Una volta ti sudavi tutto, apparizione per apparizione. E poi quando incontri il cinema fatto dagli americani provi la gioia di vedere che c’è chi ancora la considera un’arte, e non soltanto un apparire.
– Proseguono le presentazioni del suo terzo libro, Gioco Segreto. Quest’ultima fatica letteraria vede contrapposti un serial killer e un poliziotto alle soglie della pensione che tenta di anticiparne i crimini con la riflessione. Come ha sviluppato le idee per questa storia e perché, a suo dire, questo libro è meglio dei precedenti?
Non è meglio dei precedenti. È diverso. I libri sono come i figli, non si riesce a capire chi è meglio dell’altro. Li si amano tutti in egual modo. L’idea è venuta guardando un film in tv, è apparso un personaggio che come per incanto mi ha trasmesso l’intera trama. Le storie viaggiano nell’aria, alla mercé di tutti. Quando si è fortunati al punto da raccoglierne una allora nasce un libro, un film, uno spettacolo.
– Secondo lei ad oggi quali sono i problemi più stringenti a cui la categoria professionale degli artisti deve far fronte? Quali le possibili soluzioni?
I problemi si devono tutti alla meritocrazia inesistente. È il sistema che è sballato. Corre non chi ha più benzina ma chi ha il miglior distributore. Se non si azzerano le meschinità la vedo dura per chi comincia.
– Ha qualche progetto in cantiere e in che ambito?
Al momento sono ancora in teatro con uno spettacolo di Raffaele Viviani per la regia di Pugliese, sto promozionando Gioco Segreto e pare ci sia interesse per farne un film, a gennaio esce Ultimo, per Canale 5 dove sono antagonista di Raoul Bova. Qualcosa in cantiere c’è, ma da buon napoletano preferisco aspettare prima di parlarne. E pò, dio vede e provvede.
Eduardo Di Pietro