Il progetto di Ilaria Migliaccio “‘A Ragna” a Sala Ichòs
Con Se solo potessi andarmene via. Studio per ‘A Ragna’ Franca Battaglia / AUèR tornano a Napoli.
“… ma na povera femmena comm’a me ch’avessa fa’?”
Nell’intervista fatta ad Ilaria Migliaccio, ospite con La bella Lena al Teatro Civico 14, c’erano stati già degli accenni a quello che sarebbe stato questo nuovo spettacolo: Se solo potessi andarmene via. Studio per ‘A Ragna, andato in scena in anteprima il 27, 28 e 29 gennaio a Napoli presso la Sala Ichòs. ‘A Ragna fa parte di un disegno molto più ampio, che si articolerà in diversi momenti e su diversi piani.
Lo spettacolo ha inizio con un funerale, la morte sarà antagonista della “A’ Ragna” e di tutti i suoi personaggi, che pur non essendo presenti in scena, riempiranno con la loro assenza lo spazio. Anche questa volta è la storia di una donna (in scena Valentina Carbonara) al centro del racconto, una donna inizialmente come tante altre, ma che poi rivelerà la parte più buia di sé. “A’ Ragna” è figlia di quella Napoli vecchia, sporca, senza futuro e senza speranza, è vittima della sua famiglia d’origine e sarà vittima, fino ad un certo punto, della sua famiglia d’adozione.
In scena una piramide creata con del filo rosso, all’apice è posto uno sgabello, il “trono” su cui siederà per l’intero spettacolo la protagonista. Intorno a lei ombre, fantasmi della sua memoria e sfogliatelle, quelle che “A’ Ragna” ama preparare per lei e per i suoi bambini, l’ultimo squarcio di normalità e di maternità rimastole. Un continuo ticchettio echeggia nello spazio, inizialmente il pensiero va ad una sveglia, ad un orologio: poi con l’andare dello spettacolo si rivelerà una bomba pronta a scoppiare da un momento all’altro. E la bomba effettivamente scoppierà nella testa e nel cuore della protagonista che da vittima diverrà carnefice, prima del padre dei propri figli e poi dei figli stessi. Una Medea senza coscienza, senza remore, spietata verso il proprio sangue, così come la vita a suo giudizio è stata verso di lei. Una vedova che eredita il potere ed il danaro dall’uomo appena ucciso, madre per dovere (e non per amore), alleva i propri figli come una belva feroce indirizzandoli da subito verso l’odio e la rabbia e tessendo mano a mano la tela nella quale intrappolerà se stessa, estraniandosi dal mondo esterno e dalla realtà. La voce ed il corpo abbandonano le fattezze umane per trasformarsi in qualcosa di disumano, d’alieno, una figura che non ha più nulla di questa dimensione, sopratutto i sentimenti e le emozioni.
Rientra sicuramente nella tipologia di spettacolo “senza mezzi termini”, diretto, crudo e feroce ma non per questo surreale o anacronistico. Complessa appare la costruzione scenica, il lavoro attoriale, faticoso e non sempre fluido, è comunque d’impatto, dirompente e dissacrante. Ha sicuramente tutti i presupposti per poter essere uno spettacolo di “rottura” (elemento sempre più assente nel teatro italiano) ma a ciò arriverà, a mio parere, solo attraverso un lavoro di scrematura.
Consiglia Aprovidolo