Gramsci, cronache teatrali: “Piccolo harem” di Costa al Carignano
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
Piccolo harem di Costa al Carignano
Ho sentito fare da un operaio la migliore critica di questo lavoro. Sentimento, passioni, ambiente arabo. Può tutto ciò essere rappresentato in teatro, cioè col dialogo, con parole che non raccontano e descrivono, analizzando, ma sono esse stesse quei sentimenti, quelle passioni, quell’ambiente, in una lingua diversa e tanto lontana da quella che può sola essere espressione sincera del mondo che si vuol rappresentare? In questa domanda, che il compagno elevava a criterio generale di giudizio, era contenuta la sua insoddisfazione per il dramma del Costa. Del quale egli comprendeva perfettamente le motivazioni, ammirava il lavoro accurato di esecuzione e la compenetrazione dei vari elementi drammatici, ma senza che per ciò gli sfuggisse lo squilibrio tra queste motivazioni, questi elementi che possono essere di tutti i luoghi e di tutti i tempi e la espressione particolare che dovrebbero avere quando sono posti in un determinato luogo che ha una determinata colorazione storica e folcloristica. E non gli sfuggiva che questa espressione particolare risente dello sforzo di una traduzione non ben riuscita, e risente di certe prolissità e lungaggini e ridondanze figurative che forse si avvertono solo per lo sforzo di contenere nella nostra lingua ciò che in questa altrimenti sarebbe espresso.
Piccolo harem non è un dramma complicato. Oghzala è un’araba algerina che, avendo conosciuto, anche superficialmente, la vita spirituale della famiglia europea, non riesce piú ad adattarsi all’idea musulmana di un uomo che ama nello stesso tempo piú donne, senza pertanto che alcuna di queste possa ritenersi diminuita nella stima di se stessa e esserne offesa nel piú profondo della propria dignità individuale. Questa ribellione all’harem però non diventa un superiore sentimento di piú spirituale umanità; è solo un fatto elementare, istintivo, che l’autore rappresenta in alcuni momenti piú salientemente rappresentativi, e che prepara una catastrofe violenta. Oghzala, l’araba cittadina, si disfà di Mabruka, l’araba dell’oasi, tendendole un tranello, facendola credere adultera con un trucco poco complicato: facendo bussare alla porta di Mabruka il proprio drudo, l’uomo che è servito a lei per avere il figlio che doveva servire a conservarle la predilezione del marito.
Il dramma si sviluppa solo nel quarto atto; i primi tre sono preparatorii. L’autore si accorge della difficoltà di porre subito a contatto gli ascoltatori europei con un mondo esotico, e per tre atti si sforza di suggestionarli, di condurli a comprendere, a impadronirsi dell’animo dei suoi personaggi. E in questo lavorío usa molte parole, molta riflessione che tolgono efficacia al quadro e lo illanguidiscono, snaturando il carattere delle persone che si sdoppiano, facendo opera di cultura nello stesso tempo che devono agire.
Gastone Costa è al suo primo tentativo, e per tutta quella parte in cui esso si è addimostrato vitale si è fatto applaudire.
(25 gennaio 1917)
Antonio Gramsci