Pirandello e il “teatro dello specchio”
“La Morsa” in scena al Teatro Nuovo nella versione offerta dalla Compagnia Sandro Lombardi
Immagino che ognuno di voi ricordi perfettamente la domanda che Grimilde, la Regina cattiva della favola di Biancaneve, rivolge quotidianamente al suo specchio animato e che recita pressappoco così: «Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?». Ebbene, se a questa domanda lo specchio si fosse limitato a rispondere ogni volta «Signora, voi siete la più bella di tutte!», la storia, così come noi la conosciamo, non avrebbe mai avuto luogo e l’austera Signora avrebbe continuato a condurre la sua vita serenamente tra le mura del suo solitario castello. E invece lo specchio, un bel giorno, pone la perfida Regina di fronte ad un’atroce verità rivelandole che «al mondo una fanciulla c’è, vestita sol di stracci, poverina, ma ahimè, assai più bella di te!». È appunto questa “atroce verità”, la verità dell’esistenza d’altri con cui non si può non fare i conti, a scardinare ogni precedente certezza e ad innescare il corto circuito della “drammatica” vicenda. Grimilde è così costretta a trasfigurarsi, ad assumere le orribili sembianze di una vecchia al fine di rendersi irriconoscibile, ad uscire fuori dal suo castello, simbolo di pietra di un “sé” cristallizzato in quanto impermeabile ad un qualsiasi confronto con l’altro, alla disperata ricerca di colei che getta in frantumi la sua identità di “più bella del reame”, con l’intento preciso di eliminarla.
Gli altri, secondo quanto ci insegna la storia di Grimilde, sono dunque metafora di uno specchio che riflette la nostra più sordida e sotterranea immagine, sono il detonatore che fa deflagrare la maschera dietro cui si cela la scomoda, inconfessabile verità di noi stessi portandola allo scoperto.
Ed è appunto questo che accade nel teatro di Pirandello. Il congegno drammaturgico posto in essere dallo scrittore siciliano si risolve, il più delle volte, in un continuo gioco di specchi cui danno vita i suoi personaggi, in un processo di reciproca scarnificazione delle coscienze che mette a nudo gli esseri umani nelle loro debolezze, meschinità e ipocrisie. Un «teatro dello specchio», dunque, secondo la felice definizione di Adriano Tilgher, tra i massimi interpreti novecenteschi dell’opera pirandelliana, che mette in scena il dramma del “vedersi vivere”: «Tra vivere e vedersi vivere v’ha, secondo Pirandello, opposizione radicale. Chi vive, quando vive, non si vede, vive puramente e semplicemente. Chi, invece, vede la propria vita, è segno che non la vive più, ma la subisce, la trascina come un peso. Vedere la propria vita è, per ciò stesso, uscirne fuori, morire ad essa in quanto quella determinata vita. […] Il dramma pirandelliano è il dramma di gente che ha vissuto la sua vita così e così determinata, poi, di colpo, un bel giorno – un brutto giorno – si trova come dinanzi a uno specchio in cui contempla l’immagine della propria vita: di colpo, cioè, dalla vita pura e semplice passa al vedersi vivere, alla coscienza riflessa della sua vita» (A. Tilgher, Studi sul teatro contemporaneo, 1928).
Da questo punto di vista La Morsa – in scena al Teatro Nuovo sino a domenica 5 febbraio per la regia di Arturo Cirillo – risulta essere un testo emblematico dell’intera drammaturgia pirandelliana. Scritta nel 1892 e sino ad oggi poco rappresentata, l’opera intende disvelare, nel giro di un serrato atto unico, tutta l’ipocrisia della media borghesia italiana attraverso la lente dell’adulterio. L’intreccio è di quelli classici: Andrea Fabbri (Sandro Lombardi), sicuro della relazione clandestina che la moglie Giulia (Sabrina Scuccimarra) intrattiene con l’avvocato e collega Antonio Serra (Arturo Cirillo), la induce a confessare il proprio tradimento stringendola in una spirale asfissiante di domande e allusioni cui la donna, rosa dai sensi di colpa, non riesce a sottrarsi. Prende così l’avvio quel perverso gioco di specchi cui abbiamo alluso all’inizio della nostra breve disamina, dove ognuno dei tre protagonisti riflette e porta alla luce le miserie dell’altro, in un crescendo inarrestabile di abiette rivendicazioni.
Il tutto si svolge in una stanza di una casa di provincia, arredata da mute e gelide teche di vetro che racchiudono al loro interno scene e frammenti di vita domestica, emblema del consumarsi di una tragedia familiare i cui resti non sono più ricomponibili. In lontananza si avvertono, inconfondibili, i rumori inquietanti di una palude, quasi a voler formare, nel loro insieme, una liquida e putrescente sinfonia di sentimenti ormai ristagnanti.
Armando Mascolo
Nuovo Teatro Nuovo – Via Montecalvario 16, Napoli
Info: + 39 081 406062 – info@nuovoteatronuovo.it
Repliche fino a domenica 5 febbraio.