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Al Sancarluccio va in scena “Leopardi shock”, melodramma antidoto del prevedibile.

 

“Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto”

Sorprendiamoci.

Sì, che lo si faccia sino a che se ne abbia modo. Sorprendersi in luogo di Leopardi è la sintesi di una pratica insolita e tuttavia prevedibile, direziona un netto fascio di luce sul perché il sistema scolastico ne imponga l’apprendimento mnemonico anche quando l’anagrafica scongiurerebbe e sconsiglierebbe un atto del genere: i giganti sono pochi, riconoscibili e persistenti nel tempo; in più riappaiono, lo fanno quando la cosa è del tutto inattesa. Ecco la sorpresa. Lo shock.

È ben evidente che la riflessione ponderata abbia meno successo della sorpresa ed è altrettanto chiaro che i Canti leopardiani percepiscano un senso di rigetto nei confronti della riflessione, perché alimentati da un messaggio di dissacrante verità che smetterebbe di essere attuale nel momento stesso in cui venisse assorbito, metabolizzato. Si stima, quindi, che Leopardi resterà attuale per buona parte delle prossime generazioni.

Compie dunque un’operazione saggia e meritevole chi avverte l’esigenza di urlare con protervia, anche senza controcanto, sconvenienti verità.

A sobbarcarsi il peso dell’operazione è, nello specifico, l’agglomerato artistico prodotto da Teatro della Caduta, che mette in gioco una grande sensibilità letteraria per la stesura di un testo il cui corpo sostanzioso consiste in un sensato collage di citazioni del poeta, articolato dai raccordi narrativi del melodramma nel quale il corpo viene calato. Non è una fiera disorganizzata e pretestuosa, è capita prima di essere proposta. Il melodramma stesso è ideato per celarsi con grazia dietro all’enormità del corpo centrale.

Una bambina nasce singhiozzando e cresce piangendo, ponendosi domande e interfacciandosi coi due modelli educativi della Morte e della Moda, rispettivamente la madre e la zia. Non c’è principio, svolgimento o esito che conti, ma solo un’unica colonna portante: il pianto.

Diversi personaggi si alternano sul palco col piccolo particolare che l’interprete non è che una (e più che trina), Lorena Senestro, capace di gincane vocali e rovesci espressivi impressionanti, lettrice encomiabile prima che artefice del riadattamento, aiutata dalla regia di Massimo Betti Merlin e Marco Bianchini.

In un breve colloquio posteriore alla performance, la protagonista ha fatto risalire l’intenzione della stesura ad una intensa e folgorante lettura estiva delle Operette morali; l’autore di queste righe ha concluso che quelle letture non abbiano suscitato in lei reazione troppo distante dal rassegnato, rinnovato e, più di tutto, sorprendente avvilimento che egli stesso ha riscontrato nel sentirsi scaraventato addosso, di soppiatto, senza pietà, gli ultimi versi de La sera del dì di festa.

Recarsi al teatro Sancarluccio rappresenta una sorta di dovere, un gesto di riconoscenza. C’è tempo sino a domenica 5 febbraio.

 

 

Andrea Parré

 

Teatro Sancarluccio

Via San Pasquale a Chiaia, 49 – Napoli

Tel. 081 405000

http://www.teatrosancarluccio.com

 

 


 

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