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L’immagine riflessa di un uomo, più che un imperatore, che abbandona la vita nel piacere di raccontare.

Arrampicato sui Colli Aminei, il Teatro il Primo, dal 2 al 19 Febbraio, propone agli spettatori uno spettacolo liberamente tratto da “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, a cura di Arnolfo Petri.
Sulla scena sabbia, candele e frammenti di vetro; su tutto, un uomo in tunica bianca che, d’improvviso, comincia a raccontare la storia della sua vita, autobiografia indirizzata all’unico uomo che non l’abbia mai tradito, quel Marco Aurelio che diverrà poi imperatore.
Induce Adriano alla confessione il suo nefasto stato di salute, minato com’è, nel corpo, dall’idropisia e, nell’animo, dal ricordo del bel tempo andato, fuggito lontano insieme al senso di potenza proprio della libertà della giovinezza.
Egli narra le vicende della sua adolescenza spagnola, rievoca le figure dell’infanzia col rimpianto dell’assenza, celebra il libro come sua “vera patria” ed esalta la lingua greca, codice in cui “son state dette e fatte tutte le cose più belle”.
A tratti, però, nel ricordo, voci si sommano a voci e la pianezza del racconto cede il posto all’incubo, all’ansia del tempo, che tutto disgrega e che sorride dell’affannarsi degli uomini.
Lo studio ateniese, i rapporti con Traiano e, soprattutto, la comunione d’animo con Plotina, l’imperatrice, segnano il passaggio di Adriano dallo stato di “studente greco” a quello di “uomo”, maturato attraverso la partecipazione alla spedizione contro i Daci.
Eppure la curiosità intellettuale del giovane protetto di Plotina, che lo spinge a desiderare la libertà molto più che il potere, gli rende la corte luogo specifico di una saggezza ottusa e di una banale superficialità; tutt’altro rispetto alla terra di conquista, quella Dacia dalla vaste pianure, che ne fanno imago di morbidezza femminile, sinuosa e piena.
Rapidamente, alla caduta di Traiano, la sua nomina al soglio imperiale, probabilmente su suggerimento di Plotina, e, infine, bello come solo un greco può essere, ma lucente di fiamme d’Asia, emerge dallo scrigno dei ricordi, eccezionalmente schiuso per Marco Aurelio Vero, la figura del giovane Antinoo, fanciullo curioso e sognante, miracolo dell’amore in una vita costretta dall’amministrazione del potere.
“La vita è atroce” perché è razza stupida quella umana, troppo intenta a costruire ciò che l’andare dei secondi distruggerà senza remore, senza dubbi o esitazioni.
Ma, spes ultima dea, non tutte le fiammelle si spegneranno – e la scena lo testimonia, con le sue lucine vagulae et blandulae -, simbolo della fama imperitura e di un barlume di speranza di trapassare i secoli, quanto meno nel ricordo.
In tutta la messinscena è presente come un sottile e sotterraneo piacere nel mettersi a nudo dinanzi allo spettatore, ciascuno dei quali è Marco Aurelio, e un alito d’amore che respira nei ragionamenti.
A momenti in cui la narrazione spegne il furore drammatico, si alternano passi di alto lirismo, specialmente riguardo alla figura di Antinoo; per quell’uomo vecchio che è ormai Adriano, solo un uomo dinanzi al suo medico, un uomo solo nella sua reggia di Baia, confessarsi vuol dire parlare d’amore. Di quel che non c’è più.

Antonio Stornaiuolo

 

Teatro Il Primo

via del Capricorno, 4 – Napoli

tel. 081 592 18 98

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