Gramsci, cronache teatrali: “Il giuoco delle parti” di Pirandello al Carignano
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
Il giuoco delle parti di Pirandello al Carignano
Nel primo atto del Giuoco delle parti, Luigi Pirandello inizia la presentazione della «moglie» come personificante la visione che della fisica della vita hanno gli scultori e i pittori del futurismo post-cubistico: l’inferiorità spirituale è una scomposizione di volumi e di piani che si continuano nello spazio, non una limitazione rigidamente definita in linee e superfici. Il «marito» invece è fortemente accentrato in un io ragionante, ben levigato e ravviato come un concetto puro, che gira intorno a un pernio, trottola silenziosa che la volontà, resa libera da ogni contingenza condizionatrice, fa roteare sopra un piano di vetro. Evidentemente le due creature non possono sistemare un ordine di rapporti di convivenza affettuosa: il marito è impenetrabile ai piani e volumi vibratili della moglie, e questa, non riuscendo a continuarsi nel marito, se ne sente limitata, ella che per natura deve continuarsi in tutte le vite spirituali e in tutti i territori del mondo, e soffre e smania e aspira alla liberazione del suo io, inevitabilmente aspirando alla distruzione del suo incoercibile contraddittorio. Il concetto puro trionfa del protoplasma vibratile: la filosofia classica trionfa di Bergson; le contingenze si sottomettono alla volontà della trottola socratica. C’è un «amante», perché la commedia rientra nella serie dei terzetti teatrali, ma l’amante non impersona alcuna idea; è sorda materia, è oggettività opaca, è il «fesso» della vita, che logicamente è condotto a rimetterci la pelle, perché la dialettica dei contrari giunga a uno svolgimento che potrebbe essere la lacrima del concetto puro e l’urlo belluino del protoplasma in movimento: la umanità, insomma, che sbalordisce ritrovare ancora in tanta orgia di girandole filosofiche da insegnante in un liceo di provincia. Banalmente esprimendosi: la moglie vuol disfarsi del marito; insultata come moglie, vuole che il marito si batta in duello. Il marito non la intende cosí e costruisce, sulle contingenze che la natura esteriore al suo io gli getta tra i piedi, il trionfo della ragione logica: accetta il duello all’ultimo sangue e poi non si batte, costringendo a battersi e a farsi uccidere, l’amante che è il vero marito. La vita è per lui, concetto puro, un giuoco meccanico, di cui prevede e dispone a priori le parti, facendo sempre scacco matto.
La commedia del Pirandello non è delle migliori del genere Pirandello: il giuoco vi è diventato meccanismo esteriore di dialogo, puro sforzo letterario di verbalismo pseudofilosofico. L’incomprensione reciproca delle marionette sceniche si è proiettata nel teatro: pieno dominio di monadi senza porte e senza finestre, incomunicabili e incoercibili, l’autore, i personaggi e il pubblico.
(6 febbraio 1919)
Antonio Gramsci