Gramsci, cronache teatrali dall’«Avanti!»: “Le tre pene di Pierrot” al Carignano
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
Le tre pene di Pierrot di Berta al Carignano
Edmond Rostand ha tirato fuori dal cassetto solo in questi ultimi tempi una sua commedia: I due Pierrot, scritta negli anni giovanili. La commedia doveva essere rappresentata appena composta, in un teatro d’arte parigino, ma quando essa stava per andare in iscena, morí Teodoro de Banville, il poeta poco noto ai piú, che di Pierrot e delle sue avventure sentimentali aveva scritto delicatissime filigrane, bozzetti scenici in cui il lirismo si fondeva mirabilmente con l’azione, creando piccoli capolavori di espressione linguistica perfetta. Edmond Rostand ebbe rispetto del grande morto, e forse ebbe paura del paragone che non poteva mancare. La sua rinunzia fu pertanto anche un atto di probità. E Augusto Berta che della probità ha fatto in tempi non lontani la divisa melensa della sua attività letteraria, non ha esitato a presentarsi nella veste di umbra (i latini con spirito chiamavano ombre i parassiti) di un grande. La sua fregola di letterato mancato e deficiente si è sfogata oscenamente su una creazione poetica collettiva che aveva ormai trovato anche un’espressione individuale definitiva. E ha cucinato sul disgraziato Pierrot un guazzetto disgustoso, che solletica i cattivi istinti del pubblico ora con la piú volgare galanteria da gabinetto riservato ora con un pruriginoso sentimentalismo in versi martelliani in cui di poesia non c’è che l’affermazione sazievolmente ripetuta di essere poesia. È questa bassa volgarità versaiola che maggiormente offende il gusto di chi ha letto il de Banville, questa piatta gelatinosità in cui l’amore, la vita, la gelosia, i rapporti sessuali, sono visti, concepiti ed espressi come si suole leggere nelle pubblicazioni da caserma: «L’amore Illustrato», il «Capriccio», o la «Sigaretta». È seguíto il solito sistema della tricotimia simmetrica, dei tre puntelli legnosi: le tre cene, come ieri erano le tre età della pietra, del ferro e dell’oro. L’azione è nulla: Pierrot prende moglie; Pierrot sta per essere tradito da sua moglie, Viviana la fioraia, col marchese di Priola (altra dolciastra caricatura che al brio e allo spirito di don Giovanni della commedia francese sostituisce i palpeggiamenti postribolari sotto il tavolo); Pierrot che uccide il rivale e poi muore avvelenato dai profumi di un fiore orientale, per elezione spontanea. E su questi tre puntelli di legno, quanta broda di lasagne, quale disgustoso innaffiamento di loia raccolta con lo strofinaccio da tutti gli spurghi poetici della letteratura a un soldo. Un vero bazar del cattivo gusto: una amena giostra di sproloqui rimati, di scemenze triviali sul vecchio repertorio dei motivi poetici. Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, armati di colascione e travestiti da marchese di Priola, da Pierrot e da Viviana, non potrebbero dire piú abusati luoghi comuni. Ascoltando, il cervello continuava, per sollevarsi dal martirio, il lavoro del poeta. Ad affermazioni come queste: – Chi è nato all’aria aperta, non regge all’aria chiusa; – a rime come queste: – paese e maionese, – gatto e cioccolatto – il mio cervello contrapponeva fulgide immagini, che regalo al Berta per la sua prossima tricotimia; – la vita è uno spiraglio – or sente di mughetto, or puzza d’aglio – o – la vita è una sanguetta – chi vuol cavarsi sangue, se la metta, – disposto a mandargli per posta le altre che per brevità ometto.
I tre atti del Berta sono stati applauditi. Ha contribuito molto al successo una papera di Lyda Borelli (Pierrot), che, a un certo punto, sbagliandosi di sesso, ha detto: «sono pronta» per «sono pronto». L’intelligenza del pubblico ha colto a volo la grazia indefinibile di una papera simile, prova della intensa femminilità di una artista come la Borelli, ed è scoppiato in una vera ovazione. Sono cose che capitano: un’altra commedia ha avuto successo perché a «timonata» l’attore aveva sostituito «limonata». Il grande attore Tolentino è grande specialmente per la fama creatasi dicendo, con inesprimibile convinzione: «figlio, io sono tuo padre», invece di «padre, io sono tuo figlio», dinanzi a Ermete Zacconi truccato da vegliardo. Sono cose che capitano.
Aspettando che venga il giorno di poter precipitare dalla Mole Antonelliana simili truffatori di applausi, rileggiamo le fantasticherie poetiche su Pierrot, di Teodoro de Banville.
(8 febbraio 1917)
Antonio Gramsci