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Lo spettacolo che si ispira alle lezioni gramsciane tenute nel Carcere di Turi a Bari, sarà in scena fino al 19 febbraio.

Il cazzotto nell’occhio, di cui Raffaele Di Florio ha curato il progetto, l’adattamento e la regia è uno spettacolo dedicato al politico, critico, filosofo Antonio Gramsci in occasione del 75° anniversario della sua morte.

Frutto e rielaborazione delle lezioni che teneva agli altri detenuti durante la sua permanenza forzata, nel 1930, nel Carcere di Turi, a Bari, e durante le quali esplicava il suo pensiero politico, in tutta la sua complessità e lucidità di analisi, il cazzotto simbolicamente tirato da Gramsci ai suoi interlocutori al fine di scuotere le coscienze collettive, arriva forte nella sua attualità anche a noi, nel 2012 e il messaggio in esso racchiuso risulta chiaro prima ancora che lo spettacolo finisca.

Sul palco, diciotto elementi, tra musicisti e attori del Laboratorio Permanente del Teatro Elicantropo, si alternano in scene corali ed assoli, lasciando che non sia l’immedesimazione a prevalere, ma il racconto dell’uomo, la ricostruzione del periodo storico, lo stato d’animo di coloro che in quegli anni sposavano quella ideologia politica e la difendevano, a caratterizzare l’interpretazione di ciascuno dei protagonisti. La persona e l’attore si mescolano senza che un confine netto li separi, e lo straniamento che ne scaturisce lascia sorpresi, quasi impreparati prima che però, nuovamente, la storia, riconduca lo spettatore nelle sue maglie, drammatiche, vere, attraverso cui è la sofferenza del corpo e dell’anima a trapelare, senza lasciare il tempo, a chi nel buio assiste alla scena, di indugiare ancora su quanto accaduto pochi istanti prima.

7047: è il numero cucito sulla giacca che Gramsci indossa in carcere. Giuseppe Cerrone, che gli dà un corpo ed una voce, dopo essersi presentato al pubblico come se stesso, la indossa e da qual momento si fa portavoce del pensatore sardo. Siede a terra, scrive, parla  ed intanto, “pezzi” della sua visione politica, dei suoi insegnamenti, si fanno materia attraverso gli altri attori-narratori, che ricostruendo, ad esempio, scene di piazza per acclamare Mussolini, o riunioni assembleari durante le quali vengono sviscerati passaggi politici fondamentali, ricostruiscono l’uomo Gramsci e la Storia così come l’attraversò, e con lui gli amici e gli affetti che non l’hanno mai lasciato solo.

Nessun aspetto della sua personalità e dei suoi convincimenti, infatti, viene tralasciato: illustrate risultano le sue idee sulla rivoluzione russa, sulla svolta di Stalin, sulla questione meridionale e sulla triste situazione politica italiana di quegli anni, quando il socialismo faticava ad imporsi, a prevalere a favore della borghesia e la sua ricchezza divenuti i veri padroni mentre la massa restava ignorante, senza strumenti per agire, quando, al contrario, sarebbe stato necessario istruirla e indurla alla rivoluzione.

La ricostruzione scenica del celebre scritto del 1917, Odio gli indifferenti, in cui Gramsci con lucidità e chiarezza spiega la sua idea di cittadino e di partigiano affermando: «Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti», ed auspicando che ognuno faccia la sua parte nella costruzione della città futura, « intelligente opera dei cittadini», che non ammette che siano solo in pochi a sacrificarsi, ma richiede lo sforzo e la partecipazione viva di tutti, rappresenta uno dei momenti più significativi della messa in scena. Lo stesso dicasi della scena in cui si racconta la storia del bambino che ha bisogno del latte e della promessa che fa alla montagna, da cui si evince l’esigenza di creare una comunità, necessità, questa, che potrà ricevere soddisfacimento solo sviluppando un sentimento di cooperazione.
Ma ci sono anche l’amore per Giulia, sua moglie, e l’affetto per i figli Delio e Giuliano, di cui si preoccupa per come  crescono, di come trascorrono il loro tempo, di cosa leggono, a rappresentare momenti importanti nello sviluppo della storia. Così come l’incidenza della sua malattia degenerativa e la depressione della moglie, a cui Gramsci cerca di stare teneramente vicino attraverso le lettere a lei destinate, intrise di tenerezza e, insieme, forza da infonderle, trasmetterle, ed in cui la prega di scrivergli più spesso.

Di diverso registro, divertente, risulta essere, invece, per come è costruita ed interpretata dal bravo Antonio Agerola insieme a Cecilia Lupoli, e per le riflessioni a cui induce,  è l’interpretazione di Ma cos’è questa crisi? di Rodolfo de Angelis, canzone risalente al 1933, ma con forti richiami alla attualità più stringente.

A sottolineare con incisività e trasporto, ogni frangente dello spettacolo, le musiche dal vivo dei Rua Port’Alba,  al secolo Marzia Del Giudice (voce), Martina Mollo al pianoforte, Caterina Bianco al violino, Antonio Esposito alle percussioni e Massimo Mollo alla chitarra, con cui gli attori in più momenti si relazionano cantando, come solisti oppure in coro, brani come Rosa di Turi, Siam del popolo gli arditi, Nostra patria è il mondo intero, L’Inno del Primo maggio, La leggenda della Neva e Viva Lenin.

Oltre al già citati Cerrone ed Agerola, completano il cast Elisabetta Bevilacqua, Antonio D’Alessandro, Marco Di Prima, Alessandra D’Uonnolo, Valeria Frallicciardi, Cecilia Lupoli, Giulia Musciacco, Valentina Ossorio, Antonio Piccolo, Giuseppe Villa, Renato Zagari.

Appassionato, preciso, profondo il lavoro di regia condotto da Raffaele Di Florio, studioso ed esperto di Antonio Gramsci, che con il laboratorio ha inteso appunto, prima di tutto, offrire agli allievi l’occasione per conoscere gradualmente un personaggio di rilievo della storia politica, e non solo, italiana, «un esempio – spiega – dal quale ricevere risposte adeguate ai tanti interrogativi, politici ed esistenziali, nati nelle lunghe giornate di prova. Lo abbiamo conosciuto, apprezzato e ora, consapevoli di essere molto parziali, portiamo in scena solo alcuni barlumi della sua caleidoscopica vita».

Il cazzotto nell’occhio rimarrà al Teatro Elicantropo fino a domenica 19 febbraio.

Nonostante il freddo e la pioggia, chi vi scrive, vi consiglia di andarlo a vedere per sostenere il teatro e per trovare finalmente spunti seri di riflessione.

 

Gabriella Galbiati

 

 

Teatro Elicantropo

Via Gerolomini, 3 – Napoli

Info: 081 29 66 40

e-mail: teatroelicantropo@iol.it

www.teatroelicantropo.com

Orario spettacoli:

dal giovedì alla domenica, ore 21.00 i feriali; domenica ore 18.00.

 

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