Gramsci, cronache teatrali: Lyda Borelli
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
In principio era il sesso…
In principio era il verbo… No, in principio era il sesso.
Di fronte a determinate manifestazioni dello spirito pubblico, voi che avete dei bisogni logici, rimanete in principio sbalorditi. Dato come presupposto un certo fatto, ve ne aspettereste un altro che ne fosse la conseguenza logica. Vedete che invece questo non si verifica e se ne verificano altri non logici al suo posto; vedete che entrano in giuoco nuove forze, forze elementari, istintive, imponderabili nel calcolo delle probabilità.
Andate ad assistere alle recite della Borelli. Avete ancora le orecchie intronate dalle lodi per la Borelli, dalle critiche per le audacie di eleganza della Borelli, per la grande efficacia drammatica della Borelli. Andate ad osservare la proiezione di una film della Borelli. Per una strana fortuna non cadete nel laccio che inconsciamente vi è teso. Rimanete padroni di voi stessi. Potete stabilire in voi stesso un osservatorio. Osservate. Rimanete stupito. Vi pare incredibile. Poi scrollate le spalle e vi ricordate che qualcuno all’affermazione: in principio era il verbo, ha sostituito l’altra: in principio era il sesso.
Intendiamoci bene. Il sesso come forza spirituale, come purezza, non come bassa manifestazione di animalità. Ebbene: bisogna studiare il caso Borelli, come un caso di sessualità. Non c’è altra via per comprenderlo, per spiegarlo, e anche per liberarsene. Non voglio dire che il caso Borelli sia talmente pericoloso da domandare l’intervento del famoso ferro chirurgico. Tuttavia esso è poco piacevole, e lo smagare un certo numero di persone può anche essere utile ai fini di una piú perfetta umanità.
Dante ha posto il problema sessuale in termini elevatissimi. Nell’episodio di Francesca da Rimini egli dice che la forma piú alta della sessualità è data dal fatto che l’amore tra due è necessario, è indeprecabile. Esistono due metà di un tutto: esse si cercano e quando si sono trovate si fondono in una cosa sola. Ora però succede questo fatto. Esistono metà che invece di un’altra sola metà ne hanno due, tre. Alcune potrebbero essere la metà di tutti gli uomini. L’elemento «sesso» ha talmente soverchiato in essi tutti gli altri attributi, tutte le altre possibilità che diventa una specie di magia affascinante.
Tutti gli uomini vi trovano qualcuna delle complementari di se stessi, e ne sono suggestionati. È una specie di mistero orfico che si viene costruendo inconsciamente.
Orfeo col suono della lira si tirava dietro anche le piante e gli animali. Il mito simboleggia il raggiungimento completo della suggestione musicale totale, come forza che attrae tutto ciò che può essere musicabile. Il fenomeno ha dato luogo a qualche creazione letteraria. Guy de Maupassant ha scritto un poemetto in cui una donna, «il sesso», attrae a sé tutte le creature viventi, che la seguono inconsciamente, cosí come seguirebbero un santo o un apostolo che avesse saputo trovare la parola piú semplice che ne scuotesse l’animo fin dalla radice.
Con le dovute limitazioni, ciò succede per l’attrice Lyda Borelli. Questa donna è un pezzo di umanità preistorica, primordiale. Si dice di ammirarla per la sua arte. Non è vero. Nessuno sa spiegare cosa sia l’arte della Borelli, perché essa non esiste. La Borelli non sa interpretare nessuna creatura diversa da se stessa. Ella scande semplicemente i periodi, non recita. Perciò preferisce le opere in versi, e predilige Sem Benelli, il quale scrive per la musica delle parole piú che per il loro significato rappresentativo. Perciò anche la Borelli è l’artista per eccellenza della film, in cui lingua è solo il corpo umano nella sua plasticità sempre rinnovantesi.
L’elemento «sesso» ha trovato nel palcoscenico la sua moderna possibilità di contatto col pubblico. E ha rapinato le intelligenze. Il caso Borelli, se può essere bello per chi lo suscita, non è certo confortante per chi vi si lascia prendere. L’uomo ha lavorato enormemente per ridurre l’elemento «sesso» ai suoi veri limiti. Lasciare che esso di nuovo si dilati a scapito dell’intelligenza è prova di imbestiamento, non certo di elevazione spirituale.
(16 febbraio 1917)
Antonio Gramsci