In cerca della realtà
Al Piccolo Bellini Gretel & Gretchen, rifacimento pungente dall’originale dei fratelli Grimm
Hansel & Gretel è una fiaba decisamente atipica.
La percezione che fosse così è sempre stata nell’aria, la consacrazione sopraggiunge dopo la visione dello spettacolo. Si capisce anche perché, per popolarità universale, si citi di più il parallelo francese del Pollicino di Perrault a sfavore della storia dei due piccoli fratelli indigenti. Questi ultimi vengono sfavoriti da una complessità, un’amarezza di fondo che li rende meno fruibili, fatto salvo per la metaforica e proverbiale casa di marzapane.
È proprio questa amarezza di fondo a mettere in moto la creazione del corpo centrale di Gretel & Gretchen, regia di Gabriele Russo con Gennaro Maresca, Diletta Acquaviva e Raffaella Pontarelli, in scena al teatro Piccolo Bellini fino al 26 febbraio.
Tutti gli elementi cupi della fiaba, quelli lasciati in sospeso, si sviluppano attraverso la via del cinismo sfrenato, una filippica al fiabesco. Nella fiaba originale, ad esempio, la ricchezza ereditata dalla strega uccisa di cui la famiglia potrà beneficiare dopo il ritorno a casa, astrae totalmente il lettore dall’abbandono di Hansel e Gretel da parte dei genitori: nel racconto noir in scena al Piccolo Bellini, invece, è il principale degli elementi scatenanti della rabbia giovanile di Gretel, trasportata in un’era moderna in cui sia costretta a far fronte ai propri problemi, e quelli di suo fratello, senza poter attendere che un cliché da fiaba intervenga a salvarla. Hansel & Gretel è una fiaba atipica perché non si risolve come una fiaba, lascia aperti spiragli e vicoli nascosti nel suo dedalo che Claudio Buono, l’autore, decide di percorrere e spiare per mezzo della sua scrittura.
Ne viene fuori un quadro avvilente. Hansel & Gretel sono cresciuti, vivono in maniera inquieta la loro ricchezza, alla continua ricerca di qualcosa di più, che li soddisfi ulteriormente, nel caso specifico l’ingrediente segreto con cui la loro aguzzina (che Gretel rifiuta di chiamare strega) riuscisse a rendere speciali i suoi dolciumi. Incontreranno una donna, nipote della strega, in cerca di vendetta, che tenta di sfruttare l’ascendente che i suoi dolci sono capaci di esercitare sui due ragazzi per ottenerla.
È un racconto strano fin qui, ma ragionevole, che se rimanesse nella sua sfera fiabesca verrebbe interpretato come il divertente tentativo di immaginare come sarebbe andata a finire.
Ma la seconda parte dello spettacolo è prodigiosa per la quantità considerevole di spunti e tematiche affrontate. Il lato scuro della ricchezza ottenuta con la violenza sfocia in una prassi per Gretel, strozzina di professione, che esercita portandosi dietro Gretchen, il suo scagnozzo, un resistente pezzo di legno in mogano.
Nel frattempo Hansel non si è mai mosso idealmente dall’ultimo istante in cui sia successo qualcosa nella sua vita: quando è stato vittima. Affetto da sindrome di Stoccolma non riesce ad andare oltre l’immagine del suo carnefice, lasciandolo aleggiare sulla propria quotidianità con la trasformazione di quest’ultima in un atto di continuo amarcord e celebrazione delle prelibatezze della “strega”.
Nessuno dei due è cresciuto, se non anagraficamente. Sono rimasti attaccati alla loro infanzia a causa di un trauma invalicabile, l’abbandono e la prigionia sono una cosa sola, che ha loro impedito la normalità. La loro prigionia, di fatto, non è mai finita, rimasti incatenati ad una dipendenza che non smette di tormentarli: più che dei dolci, sono alla ricerca costante delle emozioni e dei ricordi che i dolci suscitano, in piena linea con vere e proprie botte di vita.
Questi profili psicologici, intrecciati a necessarie vicende narrative atte al coinvolgimento, fanno della messa in scena un’occasione per riflettere sul peso che l’infanzia possa avere sul destino di una persona. Non c’è pedanteria né il tentativo pedagogico di voler dare lezioni, tutto è sostenuto da una fitta coltre di dialoghi e un gusto molto profondo per allegorie e simbolismi.
Altrettanto sottile è il gusto con cui sia stata curato l’allestimento del Piccolo Bellini, fatta eccezione per l’impervia modalità d’accesso, la location sarebbe adatta ad ospitare una grande varietà di eventi.
Andrea Parré