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Con SentierImperfetti Paola Tortora mette in scena una complessa trilogia filosofica sugli “Itinerari del Sé”.

L’idea della vita umana come “dover essere”, come “progetto gettato” continuamente da realizzare, angosciata dall’imperativo ineluttabile di compiersi, sostanzialmente contrassegnata da uno stato di perenne preoccupazione, insicurezza e inquietudine per l’avvenire, è il fil rouge che si dipana lungo l’intero arco narrativo di “SentierImperfetti” (ancora in scena stasera al Teatro Elicantropo), trilogia sull’“Insicurezza dell’Essere” con la quale la raffinata regista e attrice Paola Tortora ha voluto posare il proprio sguardo, ispirandosi al saggio Hamletica di Massimo Cacciari, sull’insondabilità del “Sé”, affidandosi in questo alle potenti suggestioni tratte dalle opere di Shakespeare, Kafka e Beckett.

Il percorso messo in scena ricalca fedelmente quello tracciato dallo stesso Cacciari all’inizio del suo lavoro: «Dal to do, dall’agire che ancora sembra poter “decidere”, pur nell’universale insecuritas di Amleto, all’agire smarrito, s-viato di K. nel Castello, che perviene all’immagine paradossale dell’intrascendibilità della propria stessa “in-compiutezza”, a quello esausto, e perciò stesso inesauribile, di Beckett». La pièce risulta così divisa in tre quadri che si fondono e confondono armonicamente l’uno nell’altro – ognuno di essi dedicato ad un autore – rappresentanti rispettivamente l’alba (nascita), il giorno (la vita) e la notte (un istante prima della morte) dell’uomo. Il tutto si svolge in un’atmosfera rarefatta, lugubre, quasi claustrofobica, in una sorta di “non luogo” in cui ogni singolo oggetto, ogni minimo dettaglio è intriso di una potente carica evocativa e simbolica, in una architettura di originali soluzioni scenografiche di forte impatto emotivo. Calati in una siffatta dimensione onirica, gli attori (Simonetta Ainardi, Sara Allevi, Giovanni Ragni e la stessa Paola Tortora) danno vita, in una prova interpretativa di grande spessore e intensità, ad un serrato caleidoscopio di voci, di gesti, di volti, di sfumature psicologiche, in un gioco metamorfico in cui la parola si fa corpo e il corpo si fa parola. L’attore diviene così un proteiforme veicolo di carne che si interroga sul senso dell’Essere, coinvolgendo, nel suo domandare, lo stesso spettatore, nello strenuo tentativo di trovare delle risposte.

Ma è un compito vano. Gli insondabili itinerari del Sé non possono che tracciare il loro impervio cammino lungo il solco di “sentieri imperfetti”, perché imperfetto è l’essere dell’uomo, «un imperfetto mai compiuto», come afferma Nietzsche, in quanto vivere è sentirsi continuamente costretti a decidere ciò che saremo, dal momento che la vita, la vita di ciascuno di noi, è in primo luogo un imbattersi con il futuro, è futuribilità, è ciò che ancora non è. Ebbene. Se la nostra vita è essenzialmente un vivere il futuro, una continua proiezione sull’avvenire, su ciò che per definizione è incerto e indeterminato in quanto avvolto tra le brume del “non-ancora”, allora la radice dell’esistenza umana è il senso dell’insicurezza, è sostanziale insecuritas. La vita dell’uomo, in definitiva, che ha nel futuro la sua principale dimensione temporale, non è altro che costante e intensa “pre-occupazione”.

Tutti i personaggi in scena incarnano dunque quel dramma, quell’insanabile dissidio tra volontà e intelletto che è il contrassegno tragico di ogni esistenza umana in quanto radicale dualità di natura e spirito. Tormentato dal desiderio di assoluto e incatenato alle proprie limitazioni, l’uomo dimora quella zona intermedia fatta di luce e tenebre in cui ha luogo la perpetua scissione tra realtà e idealità, sede della dispersione dell’io in forze tra loro contrapposte da cui hanno scaturigine i fantasmi della mente.

Forse proprio nel teatro, nell’evasione in una dimensione di sogno, si può tentare di trovare una soluzione alla condizione dell’uomo di anima esiliata nel mondo reale. Ma è un’impresa interminabile, è la fatica di Sisifo, e i sentieri intrapresi non possono compiersi perché condannati all’imperfezione. E così la scena non può chiudersi, il gesto non può interrompersi, la parola non può essere definitiva, perché non c’è sipario che possa calare sugli attori impegnati a danzare senza posa sull’infinita incompiutezza dell’Essere.

 

Armando Mascolo

 

Teatro Elicantropo

Via Gerolomini, 3 – Napoli

Info: 081 29 66 40

e-mail: teatroelicantropo@iol.it

www.teatroelicantropo.com

 

 

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