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Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920

La maestrina di Niccodemi al Chiarella

La compagnia Niccodemi. Sulla destra Dario Niccodemi

Un ramo di pesco entra un giorno nella stanzetta di una maestrina, e la maestrina ne coglie un frutto mentre il padrone dell’albero, sindaco del villaggio, conte, e uomo di cuore invano verniciato di scetticismo parigino, passa sotto la finestra.

Il conte Filippo si presenta alla maestrina in atteggiamento sguaiatamente spavaldo, si abbonisce dopo cinque minuti di dialogo, si intenerisce dopo un quarto d’ora, se ne va, dopo mezz’ora, mutato, galantuomo, buono, ricolmo di tutte le migliori intenzioni, con un principio di innamoramento. La signorina Maria Bini ha raccontato la storia della sua vita al conte Filippo, e si è rivelata in tutta la sua dolorante umanità di sedicenne sedotta da un rustico don Giovanni, madre separata dal frutto delle sue viscere, imbarcata subdolamente per l’America, ritornata dopo nove anni e ridottasi a fare la maestra per poter ogni giorno recarsi a un cimitero vicino, nel quale devono giacere la polvere e le ossa della sua bambina.

Il conte Filippo, abbandonata definitivamente la scorza esteriore dello scetticismo e del pariginismo conquistatore, si pone all’opera. Rintraccia il seduttore, un porcospino immorale, dalla cotenna piú spessa di quella di un cinghiale, che ha mandato in America un mezza dozzina di minorenni, che, da perfetto farabutto non può non essere immerso in un brago di maialerie: sua moglie infatti è l’amante del curato, e il curato protegge le capestrerie del marito della sua amante e allontana dal suo capo i fulmini della giustizia.

La figliolina di Maria Bini non è morta, sebbene non sia viva nello stato civile, avendola il padre snaturato privata della sua identità sociale registrata e autenticata. Vive dunque, veste panni, e frequenta la classe proprio dove sua madre è maestra. Ma quale bimbetta sarà dessa? Il mistero dà luogo a una scena impeccabilmente commoventissima, nella quale si contempla la signorina Maria Bini che abbraccia freneticamente un mucchio di testine bionde e brune, tra le quali non può non esserci la testina di una figlia del mistero, del peccato, e della delinquenza piú snaturata e cocciuta.

Il seduttore Giacomo Macchia sta ritto, cinicamente indifferente e muto, innanzi al conte Filippo. Nega tutto, lo sciagurato impudente. Un articolo di codice, un mandato di cattura per manomissione di stato civile, un delegato di P. S. che pronunzia le sacramentali parole: in nome della legge, vi dichiaro in arresto. Giacomo Macchia la molla. La bambina viene identificata. Ella si presenta alla mamma sua e pronunzia alcune di quelle frasi innocenti che fanno cosí bene al cuore dopo aver visto sbavare un rettile del volume e della lunghezza di Giacomo Macchia. Maria Bini rimarrà con la sua creatura, e il conte Filippo sarà il loro angelo tutelare, non avendo potuto essere il rispettivo consorte e padre adottivo.

Tre atti: autore, Dario Niccodemi: titolo La maestrina, interpreti: Tina Di Lorenzo e Armando Falconi, nelle due parti principali, il Migliara e la Donadoni in due parti secondarie. Metodo per la mozione degli affetti: il vecchio metodo bernsteiniano di far culminare l’atto in una scena patetica che ammollisce il cuore. Molta maestria teatrale: nessuna traccia d’arte, e quindi moltissimi applausi.

(28 febbraio 1918)

Antonio Gramsci

 

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