Follia: finisce la tua, comincia la mia
Al Sancarluccio un Don Chisciotte esile, che tuttavia sazia.
Chi è Don Chisciotte? E chi Cervantes? Che differenza c’è tra il personaggio e l’autore? È davvero lecito tracciare una linea di demarcazione?
Don Alonso Quijano detto il buono, in scena al teatro Sancarluccio, da una risposta a questi quesiti alimentandoli, insinuandoli nella coscienza dello spettatore.
In un gioco di alternanze volutamente caotico (e quindi quanto mai chiaro) impera sulla scena l’autore, le sue disquisizioni stilistiche in relazione alla composizione e alle vicende della seconda parte della sua opera; poi le vicende cedono il terreno al loro protagonista, il proverbiale hidalgo della Mancia, ma spesso i due caratteri collimano nell’unicità. È lo stesso attore (Ferruccio Padula) ad interpretarli, descrivendo un asse di corrispondenza forte tra la millantata “follia” del cavaliere errante e quella del suo fabbro: in una locanda, davanti ad un letto di degenza, tre fantesche (Monica Costigliola, Maria De Meo, Barbara Sartori) assistono lo scrittore febbricitante, canzonando in maniera esilarante e impersonando, al contempo, le figure che Don Chisciotte incontra sul suo cammino, a cui quindi lo scrittore sta dando vita durante la sua fase creativa. Si prendono gioco di lui nella realtà che gli attribuisce l’etichetta di folle, almeno quanto il suo Don Chisciotte; ma paradossalmente gli reggono il gioco nella sua folle realtà.
La drammaturgia, per mano dello stesso Padula (è sua anche la regia), è ben conscia dell’opera da cui trae ispirazione, la rispetta ed escogita una chiave interpretativa che vuole esaltare il valore atemporale del più grande romanzo della letteratura spagnola, cercando con forza nel concetto di immaginazione (è forse errato chiamarla follia) una semplice possibilità del reale, una tra le tante, nient’altro che un filtro attraverso il quale osservare le cose. Insomma, è un monito che vuole veicolare al senso della misura, nel diciassettesimo secolo così come nel presente, un’era in cui la follia, intesa come eccesso d’estro, tende ad essere sovrastimata e, più di tutto, attribuita in qualità di virtù a chi nulla faccia per guadagnarsi questo complimento.
Lo spettacolo ha un altro merito, di carattere analitico, quello di far aprire gli occhi sull’onestà di fondo che Cervantes vuole traspaia dalla sua opera: l’ammissione di non essere un letterato, il rifiuto ad infarcire la sua opera di colte citazioni a scopo di celebrità presso i posteri, sono fattori che Padula si guarda bene dall’omettere, perché spie di un volere ben preciso dell’autore, quello di parlare alla pancia dei suoi contemporanei con franchezza e senza artifizi.
Il “Laboratorio teatrale istrio – la scuola dei mestieri”, si propone come un tramite divulgativo, capace di una delicatezza drammaturgica e un’incisività interpretativa dei suoi componenti che collaborano a sfoltire, in modo congruo e con inaspettata ironia, il volume di un capitolo della letteratura che si dovrebbe conoscere a prescindere, senza scusanti.
I costumi sono di Barbara Villa, le luci e la fonica a cura di Gianni Simione.
In scena sino a questa domenica 4 marzo… Difficile che la data passi inosservata.
Andrea Parrè
Teatro Sancarluccio
Via Chiaia, 49 80132 Napoli
Tel. 081 40 50 00
www.teatrosancarluccio.com