Omar Suleiman: “Quello che è successo a noi non è una novita!”
Il regista palestinese denuncia una pratica troppo diffusa in città: in privato attestati di stima, in pubblico silenzio.
Omar Suleiman è uno dei massimi rappresentanti della cultura palestinese nella città di Napoli. Uno che c’è, che fa. Come lui stesso scrive sul nostro giornale: «Sono fiero e orgoglioso di aver dato un contributo a tutto questo in varie forme e in vari incarichi negli ultimi 35 anni di storia della città di Napoli. Oggi ho l’onore di farlo come Presidente dell’Osservatorio Palestina, al finaco di validissimi amici stracarichi di energie e di voglia di fare. Non mi vergogno di vantarmi delle tantissimi attività svolte e portate avanti dall’Osservatorio nonostante i pochi mezzi a disposizione, tutto gratuitamente al servizio della città e della sua crescita culturale. Dai corsi di lingua araba gratuiti, ai cineforum di film arabi, agli incontri e presentazioni di libri di autori arabi e non, alla produzione di spettacoli teatrali fino alla grande e splendida rassegna estiva di concerti, incontri e cinema ‘ContaminAzione’, svoltasi in piazza Bellini per ben sei mesi senza chiedere un centesimo a nessun ente pubblico».
Ritornando alla questione dello spettacolo annullato a Galleria Toledo Kan Ya Ma Kan di cui Suleiman è supervisore, aggiunge: «Avremmo dovuto essere in scena per altri due giorni a febbraio e per una settimana ad inizio maggio. Su richiesta del teatro, abbiamo ceduto una settimana per far spazio allo spettacolo L’ingegner Gadda va alla guerra di Gifuni. Tutti quelli che fanno teatro, il mestiere del teatro, sanno meglio di me quanta energia, sacrifici e investimenti si fanno per un lavoro teatrale. Tutti sanno quanto una settimana di repliche possa servire a coprire le spese, tirar su qualche soldo. Ma tutto è andato per aria.
La cosa più preziosa andata per aria è un rapporto quasi ventennale di collaborazione con Galleria Toledo, per leggerezza e per mancanza di rispetto nei nostri confronti e nei confronti delle persone che abbiamo portato in quella struttura, nell’ambito di un nostro progetto nel quale hanno creduto e continuano a credere ancora di più dopo tutte le offese ricevute.
Tutto quello che è successo al nostro lavoro a teatro non è una novità. Lo sanno tutti quelli che lavorano nel settore, è una pratica purtroppo diffusa. Quello che stupisce è la vigliaccheria e la mancanza di volontà di voler dare un contributo al cambiamento della situazione del teatro e della cultura in questa città e in questo paese. Sapete quanti attestati di solidarietà e di indignazione di moltissime persone, teatranti e non, abbiamo ricevuto in privato? Decine. Avremmo voluto vedere qualche intervento pubblico, non dico di condanna, ma come contributo al miglioramento della situazione che porti alla fine del ‘Monopolio Teatrale’. La cultura amici miei non può essere ‘rinchiusa’ nei piccoli orticelli recintati con il filo spinato come le colonie ebraiche in Palestina.
Credo che lo ‘spettacolo’ dell’anno scorso Mi chiamo Omar della stessa compagnia non sia stato ‘schifato’ come Kan Ya Ma Kan, visto il successo di pubblico e critica. L’anno scorso per un intero mese sui biglietti emessi da Galleria Toledo risultava il nostro spettacolo, non un altro. Perché per Kan Ya Ma Kan non è avvenuto questo? Se andiamo a vedere il sito dello stabile d’innovazione troviamo ancora la dicitura ‘spettacolo teatrale’ e non ‘lavoro di fine laboratorio’ – usato ,credo, in maniera offensiva.
Per quanto riguarda la questione SIAE mi sento di aggiungere, quando ci siamo accorti dell’imbroglio siamo andati ‘prima’ a parlare con uno dei responsabili del teatro il Signor Rosario Squillace, che ci promesso che la cosa si sarebbe risolta. Se una persona rivendica i propri diritti, non credo che lo si può chiamare ‘fare casino'”».
Indipendentemente da una polemica che non sembra trovare fine, si spera che questa diatriba possa favorire una discussione seria e duratura su un nuovo modo di fare economia teatrale. Ciò che preoccupa delle parole di Suleiman non sono certo i particolari di quello che appare sempre di più un’incomprensione, ma il “non è una novità”, l’omertà del silenzio per un posto sul palco. Se è una pratica giornaliera, perché chi sa non parla? Quali sono i problemi, quali le soluzioni concrete da adottare per dare lo stop ad una cattiva pratica?
La speranza è che tali scritti e tali dichiarazioni possano far nascere un tavolo di discussione propositivo e illuminato.
Rosario Esposito La Rossa