“3 TO 1″: il male di vivere di tre sorelle
Il dramma di Checov nella trasposizione curata da Gesualdi e Trono.
TeatrInGestAzione ha portato in scena questo weekend a Sala Ichòs un esperimento molto interessante con lo spettacolo 3 TO 1, il coraggio, l’abitudine, l’invisibile, rivisitazione del dramma di Cechov, Tre sorelle.
Una donna con una parrucca bianca al centro della scena illuminata da quattro neon, utilizza il cellulare come fosse un diario per registrare tutte le sue non-emozioni. Poi la scena cambia ed ecco che prende il via il dramma: Maša si presenta al pubblico e dà il benvenuto in casa sua. È trascorso un anno dalla morte del padre e la sua vita, insieme a quella delle sue sorelle Olga e Irvina, scorre caratterizzata dalla rinuncia al presente e alla felicità. Su di loro incombe il peso del passato e le giornate passano l’una dietro l’altra, senza che alcun cambiamento le caratterizzi, le animi. Solo flebile, appena accennato, resta il tentativo di vivere, ma come afferma una delle sorelle: «La cosa più difficile è fare il primo passo». È, dunque, con un atteggiamento che oscilla fra nostalgia e rassegnazione che si relazionano alla vita, alla quotidianità: preferiscono vivere unicamente nel ricordo di una infanzia spensierata e, rinunciando ad ogni incontro o progettualità, accettano di abbandonarsi alla solitudine. Chiuse in un luogo claustrofobico e asettico, in cui è un telone bianco a delimitare lo spazio, si presentano come individui soli, inebriati solo di memorie, agognanti un futuro che sono incapaci di affrontare. È una continua attesa la loro; come un ipotetico Godot che mai arriverà, attendono il ritorno di un passato che potrebbe in qualche modo riempire le loro giornate, dare loro un senso. In realtà, però, così facendo optano inconsapevolmente solo per una doppia rinuncia: la rinuncia all’azione e quella al dialogo.
L’attenta e sperimentale regia di Gesualdi e Trono riesce a creare una messa in scena cruda e forte. Il silenzio diventa linguaggio: non c’è azione, non ci sono parole. Il dialogo è svuotato e i pochi monologhi che vengono riproposti si presentano come una sorta di autoanalisi rassegnate, di discorsi con il proprio io e basta. Significativo, a tal proposito, il lavoro condotto sul testo, che passa in secondo piano per consentire di concentrasi maggiormente sulle riflessioni e suggestioni che esso determina e su come esse trovino una nuova codificazione nella “memoria fisica” degli attori.
Finalmente, nella fase conclusiva della storia, una delle sorelle trova il coraggio di tornare a “vivere”, di riprendersi in mano la propria vita e dirigersi, così, verso Mosca, la sua città tanto desiderata in tutto questo tempo. Rivolta direttamente al pubblico presente in sala, diviene a questo punto esplicito l’invito di Maša a reagire. Andare via senza lasciarsi angustiare dalla monotonia e dalla ripetitività dell’esistenza, facendo sì che sia il coraggio di osare a prevalere, è la soluzione, sebbene le due sorelle è in questo status che abbiano trovato la loro condizione ideale… Forse perché come diceva lo stesso Cechov: “Là dove noi non siamo, si sta bene. Nel passato noi non siamo più ed esso ci appare bellissimo”.
Giulia Esposito