Una casa di bambola
Il dramma di Ibsen quale testimonianza del fallimento del sogno borghese, della favola ipocrita e bigotta di due coniugi dell’epoca vittoriana.
Fabio Cocifoglia riadatta il testo di Ibsen, Casa di bambola, per Le Nuvole – percorsi teatrali per le nuove generazioni e insieme a Massimo Foà, Luca Iervolino e Giorgia Coco, che danno vita a tre dei personaggi principali, realizza al Teatro Mercadante uno spettacolo semplice, equilibrato, essenziale attraverso cui mettere sotto processo una vicenda che sembra destinata a non risolversi mai. È il gioco dei ruoli sessuali imposti dalla società che le battaglie femministe hanno rivelato, fatto saltare e riarticolato alla fine degli anni sessanta e che ha lasciato una traccia resistente come una fotografia, testimonianza del cambiamento, delle vittorie e dei fallimenti.
Il testo di Ibsen, che destò scandalo quando fu rappresentato alla fine dell’800 romantico e perbenista, ricorda al regista proprio quei favolosi anni ’60 italiani di cui Domenico Modugno è stato il cantore: anni caratterizzati dal romanticismo neoconsumista del boom economico e da una pesante morale cattolica che cristallizzava i ruoli familiari. Proprio quegli anni hanno infatti preceduto la rivolta delle “Nora” italiane del ‘68. I costumi di Alessandra Gaudioso e la scenografia di Gaetano di Maso ci rimandano a quella realtà italiana a partire dalla quale è stato costruito il nostro mondo contemporaneo e di cui tuttavia si studia poco nelle scuole. Alla fine dello spettacolo agli spettatori, giovani e non, è permesso di curiosare tra le foto ordinate in gruppi alle pareti della piccola sala. Raffigurano scene di matrimonio e persone qualunque, testimonianze di un passato che si perde nella memoria, elemento simbolico della scenografia che usa per arredo oggetti che, in alcuni casi, sono veri e propri pezzi d’antiquariato; sulla parete di fondo della scena, una finestra con vetro oscurato da cui a tratti balenano i mezzobusti di Torvald (Luca Iervolino) e Nora (Giorgia Coco), anche loro fotografie di ruoli antichi eppure ancora metafora di una storia millenaria.
Il dramma si presenta lieve all’inizio, scorrevole e godibile nell’adattamento del regista nonostante la dimensione processuale e la frontalità della scena. Quest’ultima è posta a livello con la platea e quindi risulta direttamente coinvolgente, tuttavia gli interventi del “narratore-procuratore” (Massimo Foà) ci richiamano continuamente all’attenzione e ad una più intensa partecipazione emotiva e cognitiva verso i fatti di lì a poco esposti, per giocare fino in fondo al processo. Lo spettacolo prosegue intervallato dalle interrogazioni del procuratore Krogstad (personaggio che nella versione originale di Ibsen riveste la funzione di motore del meccanismo drammatico) che fa predisporre dal suo “tuttofare” Rank (il terzo uomo, tecnico prestato alla recitazione: Gaetano di Maso) la ricostruzione del luogo e del tempo in cui si svolsero i fatti attraverso l’introduzione degli elementi “rilevanti ai fini dell’indagine” dell’interno borghese: un tappeto, una stufa, una sedia a dondolo, un mantello, un albero di Natale. La ricostruzione procede secondo una serena linearità che raggiunge il culmine dell’intensità drammatica quando il testo ibseniano viene mostrato al centro dell’impalcatura, didattica e felicemente didascalica, costruita dal regista. Qui si avverte la densità semantica del linguaggio e la distanza che separa il ponteggio dalla colonna portante, ma il parossismo espressivo degli attori, fino a quel momento misurati nei gesti e nell’espressione dei sentimenti, sortisce i suoi effetti. Alle urla di rinnegamento dell’avvocato Torvald Helmer, minacciato nella reputazione dalle azioni della moglie Nora che era andata contro la legge pur di salvarlo dalla morte, qualcuno si commuove; i ragazzi disciplinati che all’inizio hanno riso alla leggerezza ora si fanno gravi e attenti al nodo drammatico. Vince la magia degli attori da cui traspare la forza del dramma e lo spettacolo, esposti i fatti salienti di questa causa di divorzio ante litteram, si spegne matematicamente con la linearità con cui era cominciato. Nora si allontana dalla scena, delusa per aver riconfermato la falsità della relazione che l’aveva tenuta legata al marito eppure decisa ad affermare il suo valore di donna e di essere umano.
Importante la scelta della veste processuale perché ricorda quante battaglie legislative hanno dovuto vincere le donne prima di ottenere una certa parità di diritti (la legge sul divorzio è del 1970 e il nuovo diritto di famiglia è stato istituito nel 1975) e fa presente anche quanto ancora oggi molti atti criminali vengano compiuti contro le donne proprio da parte di parenti, mariti, compagni ed ex. Lo spettacolo rimarca l’attualità del grande classico dell’autore norvegese e offre spunti di riflessione sulla storia sociale, politica e di costume permettendo ai ragazzi e alle ragazze, ma anche ai bambini e alle bambine di comprendere più profondamente ciò che oggi vivono, così da poter compiere in futuro scelte avvedute, con la speranza che, magari, riescano laddove finora si è fallito: nella realizzazione di quella “Cosa Meravigliosa” che Nora e Torvald hanno creduto di possedere.
Stefania Nardone
Teatro Mercadante
Piazza Municipio, Napoli
Infotel e prenotazioni per le matinèe scolastiche: Teatro Le Nuvole 081 239 56 53 – 081 239 56 66 (feriali 9.00/17.00)