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La compagnia del Teatro Stabile di Brescia porta in scena L’amante di Harold Pinter.

Sarah e Richard sono attori di una coppia moderna: si dimostrano reciproco affetto, si salutano dandosi appuntamento alla sera, domandano l’uno all’altra come proceda il rapporto extraconiugale. Cercano un equilibrio laddove non sono troppo agili nel muoversi: altrove.

Non negano l’alterità, ma sono forzatamente “moderni” e, proprio per questo, quando si chiedono che senso abbia andare a cercare altrove, si chiudono in un silenzio che lascia presagire che il loro equilibrio stia in quel silenzio stesso.

Ma è un’illusione, questa, come tutte le altre impressioni che Harold Pinter, tramite la messinscena a Galleria Toledo, ci lascia immaginare.

Ci si ritrova a far fronte ad un labirinto narrativo nel quale ogni sentenza, dopo esser stata emessa,  viene sovvertita, rivoltata e sminuita nel suo valore, ora dall’ironia pronunciata, poi da un’improvvisa tensione. Quando pare d’essere giunti ad un punto, un momento di svolta verbale, ecco la virata che ci riporta drasticamente in mezzo al mare delle infinite possibilità. È un flusso inesauribile e mai sterile, né tantomeno prevedibile.

Si pensa di trovarsi davanti alla soglia della svolta quando si crede che la chiave risolutiva sia lo scoppio di  questa forzata compiacenza reciproca che dovrà, prima o poi, risolversi nel momento della resa dei conti, in cui “l’amante” diviene un ostacolo più che un fluidificante al fine dell’equilibrio. Ecco che si è capito ancora troppo poco, quasi niente.

Pinter ti rivolta-quante-volte-vuole. Sembra una corsa all’assurdità, celata sotto una coltre di normalità con valore anestetizzante. Non si dirà qui su che lato ci si trovi girati alla fine, solo per lasciare allo spettatore la possibilità di scoprire da solo gli esiti.

Elena Bucci e Marco Sgrosso, protagonisti e ideatori del progetto hanno dato ampia possibilità di respiro all’assurdità di fondo su cui il testo si appoggia. Le istruzioni di scena si avvertono in sottofondo, alternate all’effetto loop delle parole pronunciate dai due. I dialoghi seguono il trend irrequieto della scrittura di Pinter, con una naturalezza recitativa e una teatralità lampante nel passarsi il testimone più volte. Sono a loro agio in entrambi i casi, mostrando doti notevoli.

Era necessaria una sensibilità molto acuta per penetrare nell’opera di un mantra della drammaturgia contemporanea senza invaderla, abitandoci solo per qualche sera; e i due interpreti non ne sembrano sprovvisti. Parimenti dotati sono Maurizio Viani (disegno luci) e tutto lo staff tecnico (Matteo Nanni direttore tecnico, Raffaele Bassetti al suono, Giulia Torelli per gli allestimenti), in grado di dar vita, per mezzo dell’essenzialità, ad un perimetro scenico statico ma vario, in cui si consuma la mutevolezza di un binomio sempre uguale.

Forse Elena Bucci e Marco Sgrosso non trovano la via più esemplificativa e chiarificante per trasmetterci la loro interpretazione, è lo spettatore stesso a poterlo riscontrare sulla base di alcuni momenti di confusione e di incertezza a seguire le vicende sulla scena.

Ma è altrettanto vero che la cosa ha una sua coerenza: sono proprio loro, infatti, a dirci di non aver trovato risposte univoche, di essersi accontentati della bellezza del viaggio. È esattamente la stessa sensazione che si riesce a percepire alla fine della rappresentazione, una confusione piuttosto soddisfatta e compiaciuta.

In scena sino a sabato 17 marzo.

Andrea Parré

 

Galleria Toledo
Via Concezione a Montecalvario 34, Napoli

Tel. 081 42 50 37 – 081 42 58 24

Fax 081 41 59 35
galleria.toledo@iol.it
www.galleriatoledo.org

 

 

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