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Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920

U baruni di Carnalivari di Campanozzi all’Alfieri

È un’efficace rappresentazione della «scemenza» meridionale (siciliana). La scemenza meridionale è una particolare scemenza, per due rispetti: genericamente e specificamente, è meridionale ed è di casta. Lo scemo meridionale è diverso dallo scemo toscano (Stenterello), è diverso dallo scemo lombardo (Marchese Colombi, per es.). Ma nella scemenza che è generica si distingue una scemenza specifica: quella del barone, del signorotto feudale che si maschera di decoro, che ha delle pretensioni; nel semplice «uomo», rozza umanità senza intelligenza che si colora per atteggiamenti particolari, essa è spettacolo pietoso; nel barone essa è possibilità infinita di comico. Il barone scemo vuole essere qualcosa, crede di essere un valore umano; egli è il suo titolo, è una tradizione di boria, altezzosa coi deboli e strisciante coi forti, è un rapporto tra un essere e un presumersi; tra l’essere abietti, incapaci, ottusi, analfabeti, pietosi, e il presumersi superiori a tutti gli uomini perché si è nobili e gli altri sono scarpari, falegnami, zappatori, «gente che deve lavorare per vivere». Lo «scemo» barone non è neppure piú un uomo: è una scimmia. Non basta: ha dimenticato di essere uomo, non riesce a concepire l’uomo. Il lavoratore meridionale (il lavoratore della terra) è quadrato, robusto, dalla voce profonda, musicale e vigorosa; il barone è degenerato fisicamente, è una decomposizione fisiologica oltre che una decomposizione sociale, è diverso dall’umanità laboriosa che lo circonda nel tipo fisico, nella voce, nel gestire, oltre che per la casta e la moralità.

Francesco Campanozzi ha vigorosamente rappresentato uno di questi scemi nei tre atti che umilmente chiama di farsa. E certo non può esserci tragedia o dramma in uno di questi baroni, e i tre atti sono «storici»; non può esserci commozione profonda, conflitto interiore, urto di grandi passioni nobili o infami. Non può esserci alcuna cosa grande, nel bene o nel male, che sia inerente a umanità: è un balzellare fisico e un crepuscolo tremolante dello spirito e dell’intelligenza, un’inettitudine assoluta, all’azione e al pensiero che solo talvolta si scuote per un istinto confuso della famiglia. Il Campanozzi ha dato espressione plastica a questo mondo che tramonta; ne ha saputo fissare con esatta evidenza alcuni momenti essenziali, anche se il carattere (in senso artistico) centrale non gli è apparso che in uno sviluppo di insieme spesso forzato e scolorito, con antitesi crudamente meccaniche.U baruni di Carnalivari vive tuttavia, e non è spesso che nel teatro si vedano creazioni vive.

(12 marzo 1919)

Antonio Gramsci

 

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