Gramsci, cronache teatrali: Il tramonto di Guignol
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
Il tramonto di Guignol
Il Guignol italiano sta per morire. Il suo nome è strettamente legato a quello della compagnia di Alfredo Sainati. La compagnia è diventata, qualche giorno fa, di proprietà del milionario esteta Luca Cortese, l’ultimo dei dannunziani, e il milionario esteta diventando il proprietario di questa e di numerose altre compagnie drammatiche italiane, si propone di rinnovare la tradizione teatrale italiana, sostanziandola di quattrini e di intendimenti e propositi piú strettamente artistici. La morte del Guignol italiano non può tardare a venire, se questi propositi del Cortese non cadranno nel baratro dell’indifferenza, come altre volte è successo per propositi simili.
La storia della fortuna di Guignol è presto raccontata. È la storia di quel ragazzo della fiaba che partì per il mondo, perché voleva sapere quale fosse il significato preciso della banale espressione: «Mi sento venire la pelle d’oca». E viaggiò, viaggiò, traversò paesi strani, incantati, paesi di briganti, di streghe, di mostri favolosi; ebbe avventure, di quelle che si sogliono dire raccapriccianti; ma inutilmente: la sua pelle rimase pelle d’uomo, e non ne volle sapere di diventare pelle d’oca. E aveva già disperato di raggiungere il suo intento e di ritornarsene a casa, convinto che la pelle d’oca fosse una spiritosa invenzione per far star buoni i bimbi bizzosi, quando un avvenimento di polizia urbana pose fine alla sua aspettativa: mentre pensieroso, preoccupato dal dubbio di essere un mostro, differente dagli altri uomini, inferiore agli altri uomini, perché meno sensibile di loro, fu bagnato dalla testa ai piedi da un catino di acqua freddissima. Il miracolo fiorí: la sua pelle si corrugò rabbrividendo, e dalle sue labbra, spontanea, irresistibile sgorgò la frase: «Mi sento venir la pelle d’oca». Guignol sulla scena cerca di ricreare lo strano, miracoloso paese delle oche; il paese dell’orribile, del raccapricciante, che dovrebbe far sentire ai pellegrini che vi viaggiano dei fremiti, dei tuffi al cuore, degli scombussolamenti capillari ed epidermici come al tempo in cui i serpenti a sonagli al braccio dei megateri passeggiavano ingordi sotto gli alberi trasformati in grappoli umani dai primitivi aborigeni delle palafitte? Guignol ha fatto del teatro un gabinetto spiritico per imbestiare gli spiriti. Il terrore è un istinto animalesco, non è un atto dello spirito. Non fa lavorare il cervello, Guignol; cerca di scombussolare il sistema nervoso. Ma quale persona intelligente si lascia manipolare i nervi a questo modo? Guignol vuol far paura; ma le persone intelligenti non hanno paura degli occhiacci spiritati. La paura è certamente un fatto umano, con tutte le sfumature del terrore, dell’allucinazione folle, del delirio. Ma perché essa diventi elemento artistico, deve trovare una espressione linguistica che la trasformi in atto umano, in elemento drammatico graduato secondo l’importanza relativa che essa ha nella vita dell’uomo. Guignol invece ha fatto del terrore fisico tutto il dramma della vita dell’uomo; e pertanto ha ridotto l’uomo a pura fisica, a pura macchina materiale. L’origine marionettistica di Guignol ha avuto questo effetto: ha reso marionette anche gli uomini del teatro propriamente detto.
Guignol italiano ha avuto però un merito. È servito a creare una compagnia di primo ordine. Ha servito a formare degli attori eccellenti. La riproduzione plastica del terrore domanda intelligenza e studio. Se Guignol non ha valore estetico linguistico, ha valore estetico plastico. I suoi interpreti devono acquistare, attraverso uno sforzo cosciente e un lavorio interiore indefesso, una grande capacità fisica di espressione, una capacità di rinnovamento che renda possibile la varietà e la novità degli atteggiamenti. Alfredo Sainati è riuscito a costituire cosí una compagnia non comune per affiatamento e per omogeneità. Egli stesso, e la signora Starace Sainati, sono degli attori non comuni, che hanno dimostrato di sapere uscire dal repertorio loro speciale, conservando tuttavia quelle possibilità drammatiche che hanno loro permesso di fare la fortuna di Guignol, anche se gli uomini non vogliono diventare delle oche rabbrividenti. E queste possibilità drammatiche, affermatesi specialmente in alcune rappresentazioni della Fiaccola sotto il moggio, devono appunto aver persuaso il milionario esteta Luca Cortese che valeva la pena di fare uno sforzo per riconquistare all’arte degli artisti che se hanno voluto trovar successo, si sono dovuti adattare a solleticare la parte animalesca dell’animale uomo.
Cosí il Guignol italiano sta per morire di morte violenta, quantunque lenta e angosciosa, poiché non gli sarà possibile di trovare altri interpreti del valore del Sainati. L’ultimo dramma del Grand-Guignol sarà pertanto la morte stessa di Guignol, già decisa, ma che, per non essere dammeno al carattere del personaggio, sarà lentissima come una tortura cinese.
(13 marzo 1917)
Antonio Gramsci