Ricordando Giancarlo Cobelli
Giulio Baffi saluta con gratitudine il talentuoso regista teatrale scomparso ieri mattina.
Giancarlo Cobelli è morto ed agli spettatori, attori, registi, più giovani e disattenti il suo nome dirà poco. Perché il Teatro è scritto nell’aria e la sua memoria è lieve e si perde. Cobelli è stato un grande regista innovatore, che ha firmato spettacoli magnifici spostando in avanti con idee e scelte drammaturgiche originalissimi i confini del teatro del novecento. Per avere un’idea del suo lavoro qualcuno potrà cercare e trovare le registrazioni di alcune sue commedie, la sua Locandiera,girata in studio per la televisione, è un esempio d’intelligenza non conformista.
Permettetemi di ricordarlo con un articolo lontano nel tempo, la recensione che trentotto anni or sono scrissi per la sua straordinaria, e molto discussa “Prova per la messa in scena de La figlia di Jorio”. Fu uno spettacolo bellissimo a cui molte volte ho ripensato in tutti questi anni. Non ne esiste purtroppo una registrazione, provatevi quindi ad immaginare qualcosa leggendo le mie riflessioni di allora che ancora oggi mi restituisco l’emozione di una serata tanto lontana, e che vi propongo come ultimo, e grato, saluto ad un protagonista del teatro italiano.
Da L’Unità, 26 marzo 1974
Presente a Napoli, al teatro San Ferdinando per soli tre giorni La figlia di Jorio messa in scena per il Teatro Stabile de L’Aquila da Giancarlo Cobelli, purtroppo è stata vista da un numero assai esiguo di spettatori. Un vero peccato che questo che è parso uno dei migliori spettacoli teatrali dell’anno debba passare quasi sotto silenzio in una piazza come Napoli, tanto poco abituata a ricevere serie e ricche proposte teatrali.
Questa di Cobelli ci pare sia la prima lettura critica della “tragedia pastorale” di Gabriele D’Annunzio, e tanto seriamente critica che la fondazione che ne detiene i diritti, e che di “critica” non vuole sentir parlare, ha preteso che il titolo fosse mutato in “Prova per la messa in scena de La figlia di Jorio”. Eppure non una virgola è stata mutata, non un tempo.
Come allora Cobelli ha potuto proporre una lettura realmente nuova? Restituendo innanzitutto l’opera ai suoi legittimi proprietari, i componenti cioè di quel mondo borghese che ne furono i primi e gli unici fruitori. Non ci sono più le “scene pastorali”, non più gli alberi contadineschi, non più il folklore di una terra d’Abruzzo falsamente intesa. I personaggi del dramma sono tutti riuniti in un salotto borghese, indossano i loro abili da cerimonia, i loro mantelli bordati di pelliccia. La recitazione è completamente sfrondata da ogni adagiamento musicale, i suggerimenti per contrasto vengono affidati alle orecchiabili note dal Faust di Gounod, le frasi non si attorcigliano più su se stesse per dare luogo ad espressioni di compiaciuta musicalità, ma escono fuori sparate a creare immagini di una nuova suggestione. Pure la scena di Giancarlo Bignardi, suoi sono anche i costumi, è assolutamente semplice, ridotta all’osso, così che un piccolo accenno di drappeggio di raso, un tavolo semiaddobbato, un paravento, acquistano massima significazione.
Grazie a questa assoluta semplicità Giancarlo Cobelli riconquista il dramma, le frasi che sulla bocca dei pastori suonavano false e creavano un dramma inconsistente, pronunciate d quel gruppo di signori assumono tutto il loro reale significato. Diviene così leggibile la trasposizione della struttura del dramma borghese operata da D’Annunzio, Mila di Codro entra a porre in crisi un ordine non sufficientemente stabile; come nella Signora delle Camelie il vecchio padre di Alfredo così Ornella si recherà a colloquio con Mila-Margherita per poter ricondurre alla sua casa ed alla sua sposa il giovane Aligi.
Come un’eroina degna dei migliori lavori di Dumas Mila si scarificherà fino alla morte. La scena finale è addirittura epica, di una epicità da “cartolina illustrata”, da disegno naif; cadono le quinte, una scala ed un finto fuoco sono il rogo su cui sale Mila ad immolarsi e a riabilitarsi, sullo sfondo appare la Majella innevata, gli sposi finalmente riuniti ed i parenti appagati godono del loro trionfo. L’equilibrio di un perbenismo fasulle è ristabilito.
Degli attori non si può dire che bene; hanno creato personaggi validissimi, sottilmente ironici, in moduli recitativi diversi e ben costruiti, Piera Degli Esposti è Mila di Codro, Gabriella Giacobbe Candida della Leonessa, le due donne di Aligi; accanto a loro, in perfetto amalgama, Tino Schirinzi, Igea Sonni, Anna Malvica, Antonietta Carbonetti, Sarah Di Nepi, Anna Maria Ghio, Giselda Castrini, Pamela Villoresi. Il successo, nonostante il poco pubblico di cui si è detto, è stato calorosissimo.
Giulio Baffi
Davvero non c’è modo migliore di ricordare un artista che far rivivere la sua arte… avevo solo 8 anni e non ho potuto vedere questa Figlia di Iorio, le parole di Baffi mi han fatto immaginare la portata significativa di quella che dovrebbe essere sempre la sperimentazione teatrale sui testi ‘ classici': la rilettura intelligente e appassionata, senza cambiare i testi ma scoprendone aspetti ancora ignoti… grazie, e mi unisco per l’ultimo saluto a un grande regista