Gramsci, cronache teatrali dall’«Avanti!»: Guglieminetti e Turghenieff
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
Dèi e cicisbei di Guglielminetti al Carignano
Due statue settecentesche acquistano vita e movimento per partecipare a una festa mascherata del secolo delle crinoline. Scendono dai loro piedistalli, si confondono tra gli invitati. Si confondono? Ohibò, esse non possono affatto confondersi. I due esemplari del secolo dei lumi, nel trasformarsi da frigido marmo in carne e ossa, sono passati per la fantasia di una poetessa moderna ed hanno subito qualche leggera truccatura: essi diventano gozzaniani. Nella fantasia di un artista probabilmente i due sarebbero saltati vivi, agili, pieni di nervi e di vitalità carnale, da una pagina di Giacomo Casanova. Nella fantasia di Amalia Guglielminetti essi diventano due teneri calamaretti intrisi di bianca farina, che a gara vogliono ognuno saltare per il primo nella bastardella di una moderna friggitoria. Essi appartengono a quel fantasioso settecento di maniera col quale scherzò argutamente Guido Gozzano. Ma il Gozzano metteva nei suoi leggeri fantasmi un sorriso arguto, una tenerezza ironica di superiorità spirituale: egli era quel settecento, erano i suoi sogni, la sua sensibilità, che fioriva diafana e anemica in versi di rimpianto scherzoso, in tenere figurine ritagliate con pazienza su vecchia carta da tappezzeria. La Guglielminetti prende sul serio la sua finzione, e il secolo dei lumi rivive in versi inzuccherati che sono davvero vecchia ammuffita tappezzeria, in cui sono state tagliate delle marionette che hanno la pretesa di vivere da sé, senza sorrisi ironici, povere figurine che nessun giuoco spiritoso fa muovere, che nessuna melanconia profonda sono riuscite a far intenerire.
Vogliono impartire una lezione di galanteria le due statue redivive: fanno sul serio, e i loro discepoli moderni sono anche essi di una furibonda serietà: immaginatevi che anche essi facciano i moderni per partito preso, pur senza giungere alle esagerazioni americane, e poi pensate al contrasto. Quale contrasto, mio Dio, e come sono infelici i moderni! A che serve poter volare, disporre del telefono e dell’automobile? Manca la grazia e il saper fare, manca la parola che fiorisce nel madrigale e nel ghiribizzo. E hanno terribilmente ragione le due statue parlanti: esse stesse sarebbero state diverse se Amalia Guglielminetti non fosse una moderna letterata, che prende troppo sul serio i modelli letterari: sarebbero vivificati dalla spiritualità, la divina Ironia avrebbe con pochi tratti finito la loro mascheratura: e in quei pochi tratti avrebbero avuto la loro ragion d’essere, la loro poetica necessità, poveri calamaretti intrisi di bianca farina, condannati a ballare in una bastardella di moderna friggitoria.
(14 marzo 1918)
Pane altrui di Turghenieff al Balbo
Turghenieff ha rivelato all’occidente la vita della nobiltà provinciale russa, ignorante e presuntuosa, credente in Dio, fedele allo zar, crudele col servo che chiama fratello. Tutta l’opera letteraria di Ivan Turghenieff è animata dalla ripugnanza per questa vita, da lui conosciuta in ogni particolare, da lui vissuta dolorosamente. Pane altrui non è che un bozzetto, una scena. Ma è tutta la tragedia del popolo russo che rivela. È la meschinità ripugnante dell’ambiente posta in rilievo con richiami sentimentali, è la reazione della nobiltà dell’anima al costume volgare della nobiltà russa qual era ancora pochi anni fa, in regime di servitú della gleba e di incontrastato feudalismo.
L’interpretazione di Ermete Zacconi è appassionata, ottima, efficace.
(14 marzo 1920)
Antonio Gramsci