La camera azzurra ridipinta da Cossia
A Il pozzo e il pendolo in scena le vicende tra passione ed ossessione di Bruno e Manòn
Il vantaggio di inscenare questo romanzo di George Simenon (uno tra i più celebri da lui realizzati) consiste nella fortuna di cui il genere narrativo goda presso il pubblico. L’atmosfera noir che si percepisce immerge gli spettatori in uno stato emotivo riconoscibile e quasi già noto (l’accompagnamento musicale stesso e il disegno delle luci tracciavano l’identità di ciò che ci si apprestava a vedere sin dall’inizio).
La cinematografia e la letteratura ci hanno allevati a forza dei ritmi compassati e blandi, ma intensi, spessi e profondi del noir.
Antonello Cossia, artefice dell’adattamento e regista, nella sua idea di realizzazione de La camera azzurra, ha fatto una scelta di fedeltà, tentando, prima di tutto, di riprodurre scenicamente quel non luogo che la camera azzurra doveva essere, secondo Simenon, per i due amanti. In uno spazio contiguo c’è l’alcova d’amore dei due fedifraghi e la stanza che è set del capzioso interrogatorio cui il protagonista, Bruno (Antonello Cossia), viene sottoposto/sottomesso. Lo interroga un ispettore (Paolo Cresta) volenteroso di ricostruire per filo e per segno la relazione clandestina che ritiene sia stata motivo di due decessi, quelli apparentemente casuali di entrambi i coniugi dei due amanti.
Altra protagonista è Manòn (Rosalba Di Girolamo), l’amante di Bruno appunto, scandisce i ritmi della messinscena con apparizioni estemporanee nelle quali ripete il concetto che muove la vicenda: Se io fossi libera, faresti in modo di renderti libero anche tu?
Bruno risponde con un sorriso, di fatto senza rispondere.
Nel suo interrogatorio ha da affrontare l’ostacolo di una morale comune, personificata da chi lo stia interrogando, che lo giudica, vizia il proprio percorso investigativo con l’influsso di un fare accusatorio, più che volenteroso di scoprire la verità sulle morti sospette.
Cuore tematico della storia è questo: l’arrendevolezza di Bruno. Non è un caso che prima si sia parlato di sottomissione all’interrogatorio, poiché la volontà di rispondere ci sarebbe, è evidente e si percepisce da un silenzio cui il protagonista si vincola e non per mancanza di parole (Antonello Cossia è molto bravo per questo aspetto); ma lo zittisce una lontananza di vedute che gli impedirebbe di poter pronunciare anche una sola parola che non venisse battezzata come assurda prima ancora di essere pronunciata. A tutti gli effetti è reticente per lo stesso motivo per cui non dirà mai a Manòn che ama lei nella forma in cui se ne sia innamorato in principio, quella privata, segreta e sensuale della camera azzurra. La sua reticenza si trasforma in bugia.
Nessuno capirebbe che l’amore possa non essere univoco, che varietà non vorrebbe dire dividerlo perché dividerlo vorrebbe significare una riduzione di intensità; che, insomma, possa esistere un modo diverso d’amare. Non si batte non avendone la forza e per questo silenzio Bruno verrà condannato socialmente per un reato che, forse, non ha commesso.
Resta l’impressione che, in relazione alla messa in scena si potesse sperimentare qualcosa di più coraggioso, lavorare proprio su quei ritmi che il genere imporrebbe come blandi, tentare di variarli.
Ma facendo questa precisazione ci si allontanerebbe dal vero motivo di riflessione.
Ultima replica oggi a Il pozzo e il pendolo alle 18:30.
Andrea Parré
Il Pozzo e il Pendolo
Piazza san Domenico Maggiore, 3 – Napoli
info e prenotazioni: 081 542 20 88