Manlio Boutique

Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920

Jean La Fontaine di Guitry al Carignano

Sacha Guitry

A breve distanza di tempo sono state rappresentate a Torino due nuove commedie di Sacha Guitry L’illusionista e Jean La Fontaine: un insuccesso e un mezzo successo. Non è giustificata la diversa accoglienza fatta ai due lavori; non è giustificata almeno da un punto di vista critico. È sempre lo stesso Guitry, che si mantiene allo stesso livello, in queste due ultime commedie come nelle precedenti: La presa di Bergop-Zoom, o Facciamo un sogno. L’Illusionista anzi è piú completa delle altre, rivela meglio l’autore, perché nel titolo stesso è contenuto il programma artistico del Guitry.

Non teatro dei soliti, sebbene l’originalità sia puramente esteriore; non gli intrecci soliti; ma dialogo; puro dialogo, che deve suscitare ondate di simpatia negli spettatori, cosí come deve prima suscitarle in uno degli interlocutori. L’azione non è urto di grandi passioni, elaborazione di forti personalità fantastiche che operano, suscitando contrasti drammatici o comici: è lieve, vellutata creazione di stati d’animo provvisori, che si esauriscono in breve tratto di tempo, finché dura l’illusione che la parola melliflua, che il discorso capzioso sono riusciti a destare. È sempre un illusionista che Sacha Guitry introduce nelle sue commedie, illusionista che incanta le femmine per una breve ora d’amore, che cerca spiritualizzare l’atto sessuale quando esso è piú meccanico e animalesco, nelle avventure da pochades, cosí come esso dovrebbe essere nelle manifestazioni normali della sessualità, nel matrimonio, nella convivenza che ha un fine superiore al piacere. Nell’Illusionista il giuoco scenico è piú raffinato e sottile: la commedia è caduta (almeno nella sua clamorosità) perché l’interpretazione buffonesca ha impedito fin dalla prima battuta che si iniziasse l’incantamento, la suggestione. Gli interpreti non hanno preso sul serio l’autore, e la tenuità comica è diventata grottesca buffoneria, cosí lontana dalle possibilità del dialogo, che questo si è appesantito immediatamente in un immenso tedio, in una sguaiatissima caricatura.

Jean la Fontaine ha avuto miglior fortuna. Esso è la descrizione del ciclo che deve subire il matrimonio perché diventi moralità. Il Guitry, nonostante le apparenze, è autore essenzialmente morale, perché lo sforzo massimo dei suoi lavori consiste nel far arrivare i protagonisti a un piano superiore di spiritualità in cui si giustifichino e si moralizzino gli istinti e i capricci. La giustificazione morale del matrimonio è l’amore; Jean La Fontaine si separa dalla moglie infedele, vive la pienezza della sua intellettualità, raccoglie fama e popolarità, e ritorna alla moglie, non come marito autenticato e legalizzato dal contratto nuziale, ma come uomo, come amante. Nel terzo e nel quarto atto il Guitry applica il suo metodo, crea l’illusione verbale del nuovo contratto, del nuovo ambiente morale in cui dovrà svolgersi l’attività amorosa, la convivenza nuova dei due soci. La Fontaine come storia, come uomo già vissuto, è un pretesto che serve ad aumentare l’illusione, che accresce forza alla dimostrazione implicita di una tesi, col fascino che il grande scrittore esercita in Francia. Il mezzo successo che la commedia ha ottenuto in Italia è dovuto in parte anche alla mancanza di questa suggestione, esteriore quanto si vuole, ma sulla quale lo scaltro autore deve aver calcolato come su un ingrediente di primordine per il grande successo [nel suo paese]. Cosí pure è andata perduta l’intima potenza suggestiva di una gran parte del dialogo, che non risvegliava nel pubblico nostro nessuna eco, nessun richiamo a una tradizione letteraria e di costume vivissima in Francia. Ma la commedia è emersa, malgrado tutto, e ha interessato, come dovrebbe interessare sempre il Guitry, che è superiore indubbiamente alla paccottiglia solita del teatro francese, e stimola il gusto, e raffina, sia pure per antitesi, la sensibilità, tanto nel pubblico, come negli attori, che devono continuamente padroneggiarsi, evitare le esagerazioni, non cadere nel volgare e nel banale. Luigi Carini era Jean La Fontaine, e seppe trarre dal dialogo gli effetti migliori coadiuvato con zelo e misura dagli altri attori della sua compagnia.

(28 marzo 1918)

Antonio Gramsci

Print Friendly

Manlio Boutique