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Il regista Meola racconta una storia familiare che attraversa Napoli e scava nel profondo dei rapporti umani.

Dal 2 al 3 maggio 2012  il Nuovo Teatro Nuovo ha ospitato la compagnia Virus Teatrali con un suo storico spettacolo, Frat’ ‘e Sanghe, scritto e diretto in maniera eccellente da Giovanni  Meola con la grande interpretazione di Luigi Credendino, Pio Del Prete, Enrico Ottaviano.

La scenografia è molto scarna, quasi vuota se non fosse per tre giacche piegate a terra e due cubi su cui, accese le luci, appaiono i tre protagonisti che dormono, e forse sognano, cantando ciascuno una frase della famosa canzone napoletana O sole mio.  La sequenza si ripete fino a quando uno dei tre si sveglia.

È il 31 gennaio del 1999, i tre uomini sono fratelli ritrovatisi dopo cinque anni per festeggiare l’arrivo del nuovo millennio insieme.

Da qui inizia una carrellata di sbalzi temporali che oscillano dal tempo in cui erano bambini – quando giocavano a lanciare le pietre alla banda di ragazzini avversari; oppure, seduti insieme, guardavano le puntate della Smorfia di Massimo Troisi; o ancora, dopo aver litigato, per far pace si prendevano per mano e cantavano all’unisono «simm frat’ ‘e sanghe, simm frat’ ‘e sanghe» – fino alla situazione attuale, che li vede uomini con caratteri completamente diversi, che in comune non hanno più nulla e ciò è ben evidenziato dai lori ricordi in cui non esiste alcuna memoria condivisa: il tempo ha sbiadito il loro essere fratelli.

Il più grande, Salvatore detto Sasà, ha 30 anni e vive sporcandosi le mani con la “munnezza”, alla continua ricerca di un nuovo terreno dove far depositare rifiuti speciali per ottenere più soldi; il secondo, Giovanni chiamato Giannino, è l’unico che ha studiato ed ora vive facendo il giornalista raccontando i mali di Napoli e, in particolare, cercando uno scoop sugli intrighi dell’immondizia. «Per entrambi la ‘munnezza’ è importante», dice Sasà. Il più piccolo,Giuseppe, ha 25 anni e si è arruolato nell’esercito italiano per il quale ha condotto missioni in Bosnia e in Kosovo dove, a causa dell’uranio impoverito, si è gravemente ammalato per cui, ora, gli restano pochi giorni di vita.

Sasà e Giannino fanno parte di due mondi con due sistemi di valori diametralmente opposti: il primo è molto religioso, è un assiduo giocatore del lotto ed è determinato a far soldi anche a discapito dell’ambiente in cui egli stesso vive; il secondo è un idealista che crede di poter risolvere i problemi dell’immondizia svelandone il lato losco che c’è dietro con uno scoop e non crede nel gioco d’azzardo. Queste loro differenze li portano spesso allo scontro spezzando costantemente il legame di fratellanza che li unisce. Puntualmente Giuseppe cerca di risolvere i loro litigi dividendoli e ripetendo «nun ve litigate!», ma non ottiene il risultato sperato, anzi, molto spesso è proprio lui a pagarne le spese venendo picchiato e strattonato dai suoi due fratelli. Il sistema di valori di Giuseppe trascende quello dei suoi due fratelli: ripetendo per tutto lo spettacolo «turnamme assieme», egli invoca il valore profondo e verace della fratellanza che va al di là di ogni contrasto etico. Solo quando il fratello minore svela agli altri due la sua malattia si ha l’illusione che la compassione di entrambi nei confronti di Giuseppe possa riappacificarli e farli sentire di nuovo “frat’ ‘e sanghe”. Ma appena ognuno di loro, a suo modo, cerca di trovare la soluzione più adatta per aiutare il fratello minore – Sasà accendendo lumini e invocando le immagini dei santini; Giovanni scrivendo un articolo di denuncia –, la loro ottusità riaffiora nell’ennesimo scontro e nemmeno la morte di Giuseppe riuscirà a mettere fine ai loro contrasti..

Frat’ e sanghe è uno spettacolo duro, concreto, tanto che anche le scene comiche in esso presenti si macchiano di una cupa ironia. Spenti i riflettori resta l’amaro in bocca.

 

Carmela Pugliese

 

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