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Al Teatro Orazio va in scena una delle opere minori della tradizione francese.

È molto atipica la location del Teatro Orazio. È un’ottima notizia che il teatro a Napoli si espanda oltre i propri confini naturali, quelli del centro città, per indirizzarsi anche in altre zone.

I propositi di un elogio fanno a botte con ciò che si è visto. Sabato 5 e domenica 6 maggio è andato in scena un riadattamento de Le femmine sapute, un’opera minore di Molière riadattata da Massimo Maraviglia. Opera minore solo per risonanza, perché per la verità l’opera ha nell’animo una forza corrosiva molto sottile ma pungente e, come molte opere di grandi autori, facilmente affiancabili all’attualità. L’impianto classico di una famiglia che sceglie per una figlia il marito più vantaggioso in termini economici, viene scardinato da una scissione interna, dove il padre preferisce questa alternativa, in accordo con la stessa figlia, caratterizzata dalla semplice e chiara volontà di non essere una donna pretenziosa.

Si accontenterebbe dell’unico marito che vuole, una persona semplice e a sua volta senza troppe pretese. Dall’altra parte la madre ed il fratello rappresentano un’alterazione del normale stato delle cose nel desiderare per la ragazza un poeta arrivista, capace ad illudere i suddetti di possedere velleità artistiche che ne delineerebbero un fascino al di fuori di ogni portata. Fascino fasullo, che peraltro non sortisce alcun effetto sulla ragazza e tutta la fazione opposta, se non sdegno assoluto per quelle che, più che poesie, appaiono sciocchezze allo stato puro.

Il lieto fine è di rito, ma in sé l’opera contiene elementi e spunti che non la renderebbero di certo minore.

La nota dolente giunge quando si passa alla messa in scena. Dire che abbia lasciato a desiderare sarebbe un eufemismo. E’ forse per un intellettualismo sfrenato che si da questo giudizio, ma con tutta onestà, pur volendo fare autocritica, viene difficile pensarlo. Sarebbe bastato prendere il testo, magari riadattarlo ma riprodurlo in maniera fedele. Al contrario l’operazione, per la regia di Ettore Nigro, è quella di tentare di ammodernare i contorni lasciando intatta l’intelaiatura. E ammodernare così come lo si è fatto rasenta il non teatro, il più puro e gratuito grottesco. Si cerca l’effetto villaggio turistico, si inserisce musica anni ’80, si urla e vengono introdotti tentativi di tormentone. Si prova anche a coinvolgere il pubblico, ma davvero non ce n’è bisogno.

Un po’ come l’esigenza tutta napoletana di prendere Eduardo e riprodurne le commedie esagerandone i toni, rendendole dunque farse.

Ma le commedie di Eduardo, come quelle di Molière, sono appunto commedie, non farse.

Gli interpreti erano Virginia De Chiara, Silvio De Luca, Viola Forestiero, Angela Garofalo, Roberta Ferreri, Paola Magliozzi, Roberto Maiello, Monica Palomby, Riccardo Rico, Daniele Sannino.

Perché il teatro Orazio si conquisti una fetta fedele di pubblico, occorre forse che provi a selezionare ciò che sceglie di rappresentare. Il rischio è che la recita scolastica, con tutto il rispetto, la faccia da padrone.

 

Andrea Parré


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