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Al Teatro Bellini l’attrice napoletana dirige ed interpreta la storia della sua città tra lacrime e sorrisi.

Uno squarcio caratteristico della città di Napoli proiettato sul sipario chiuso accoglie gli spettatori. Il velluto rosso, poi, si apre ed ecco ritrovarsi in una piazza piena di gente che vive, si incontra, parla dimostrando di stare a proprio agio per la strada.

C’è fermento, si attende qualcuno per cominciare a far musica.

Una donna appare sul fondo della platea: è Lina Sastri che, in uno splendido vestito rosso e con una valigia di pelle marrone in mano, cantando avanza con disinvoltura come se stesse attraversando un luogo che è suo da sempre. Sale sul palco e si presenta al pubblico: è Lucia, una donna verace che vive in un quartiere popolare della città partenopea da cui il mare non si vede. Una città che potrebbe appartenere a qualsiasi epoca storica, a quella di oggi così come a quella del periodo del risanamento quando il Presidente del Consiglio Depretis, in visita per fare il punto della situazione, disse che alcune zone della città andavano sventrate. A ciò si è indotti a pensare per il gesto che la Sastri compie spesso e che le appartiene: quello di toccarsi e stringersi il ventre. Ogni volta che ciò accade, a chi scrive, viene in mente il ventre stesso di Napoli, materno, sensuale e oppressivo. Lo stesso ventre di Napoli, descritto con realismo da Matilde Serao e che ancora oggi continua ad essere impregnato di miseria ma al contempo anche di allegria e musicalità.

Lucia si racconta al centro della spaziosa agorà mentre alle sue spalle un cielo dapprima limpido e solare viene, man mano, illuminato da una splendente luna. Ogni tanto qualche nuvola passa a dare fastidio.

Incerto è se la donna parli più con se stessa o semplicemente con chi è disposto ad ascoltarla. Ma lei parla di tutto, anche di argomenti che sembrano quasi banali e che invece caratterizzano nel profondo l’esistenza di ognuno: sono al centro del suo monologo la vita, la morte che si spera non arrivi mai e contro cui si impreca e, ovviamente, l’amore passionale, carnale, doloroso che va via e ritorna proprio come quella nuvola lì in cielo. Del resto, se ci si ferma a riflettere così come invita a fare Lucia, lo stesso verbo appiccicarsi racchiude in sé un doppio significato: litigare ma anche stare insieme, essere uniti. Stare appiccicati, pertanto, significa non lasciarsi e gli amanti che litigano sono quelli destinati a durare per sempre, così come è accaduto ai genitori di Lucia a cui il ricordo della donna va mentre le note di un dolce e sensuale tango si diffondono nell’aria.

A seguire, saranno molti altri ancora i racconti che Lucia evocherà e a ciascuno sarà legata – filo rosso che tiene insieme storie e persone – una canzone appartenente alla tradizione classica, ma anche ai nuovi cantastorie, volto inedito della musica napoletana.

Scritto e diretto da Lina Sastri, Per la strada… mmiezz’ ‘a via è uno spettacolo in cui l’attrice protagonista, dà prova della sua bravura canora, del suo profondo legame con la musica «compagna di strada», con Napoli «difficile e meravigliosa».

Ma a compiere in scena il «viaggio nella  vita frastornata di questa città», non è sola; ad accompagnarla dal vivo una orchestra di nove elementi (composta da Ciro Cascino, Filippo D’Allio, Riccardo Esposito, Gianluca Falasca, Salvatore Minale, Antonio Mosca, Salvatore Piedepalumbo, Claudio Romano e Luigi Sigillo) e quattro  ballerini (Diego Watzke, che ha curato anche le coreografie, Annalisa Casillo, Luisa Vallozzi e Luisa Ieluzzi).

Al termine, la Sastri invita sul palco lo scenografo Bruno Garofalo, la giovane costumista Maria Grazia Nicotra e Maurizio Pica, curatore degli arrangiamenti, per ringraziarli pubblicamente del lavoro svolto e condividere con loro l’esecuzione delle ultime due canzoni.

 

Gabriella Galbiati

 

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