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Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920

Il titano di Niccodemi al Carignano

La guerra evidentemente ha imposto una moratoria anche all’arte. L’azione che si svolge al fronte fa rivolgere tutte le energie degli uomini di buona volontà alla pratica, alla speculazione dell’esaltamento passeggero, che opportunamente solleticato, dà buon gettito di applausi e di cassetta. Santa retorica si dice per le manifestazioni simili del passato, del Risorgimento; perché né Berchet, né Silvio Pellico, né il Giusti, né il Dall’Ongaro, né Poerio ponevano un fine economico all’arte patriottica. Volgare speculazione deve semplicemente giudicarsi quella del Niccodemi, che ha allegramente imbastito, con quella abilità che si è acquistata nel suo garzonato di autore rotto a tutte le piccole astuzie della scena, una commedia di palpitantissima attualità.

Quattro convenzionalità sono i personaggi: il bene assoluto (Marco Asciani), il male assoluto (Gilberto Guidi) suo cognato, l’innocenza sciupata (sorella di Marco), l’innocenza ingenua ed elementare (una bambina). Marco ha partecipato alla guerra con i suoi due figli; questi vi hanno lasciato la vita, egli l’ha scampata per miracolo, e sua moglie è morta di crepacuore. Uscendo dall’ospedale rinnovato di corpo e d’anima, mentre si dispone a diventare l’apostolo di una vita nuova, di una nuova morale, è travolto in uno scandalo di frodi in forniture militari. È Gilberto, l’uomo della preistoria, il bruto pieno di vizi, che essendo stato da lui posto a capo della propria banca, ha speculato sulla vita, sulla incolumità dei soldati per arricchirsi, per alimentare le sue basse cupidigie di gaudente. Marco perde nella crisi tutto il patrimonio, e mentre prima era chiamato titano per la ferrea volontà che esprimeva negli affari, ora si chiama da sé titano perché scopre che per fare il modesto impiegato è necessaria una forza morale ben maggiore di quella richiesta per fare il capitalista. Gilberto sparisce silenziosamente nella sorridente marina di Anzio, perché la coscienza gli è diventata una carceriera implacabile, e decide di non ritornare piú a galla; affinché la nuova Italia non veda piú la fisionomia del frodatore militare. Questa è la nuda trama, impolpata con le piú svariate zeppe di repertorio: una porta sfondata, un marito che sta per strangolare la moglie per farsi consegnare dei valori, un fratello che crede per un momento la sorella adultera col… marito, una requisitoria formidabile contro i fornitori militari, che ricorda la filippica contro i preti della Morte civile del Giacometti, una piccola Scampolo che come un pappagallino ammaestrato recita graziosamente le ingenuità piú artificiali di questo mondo, e cosí via.

Il colpo era sicuro. La tirata contro i fornitori, eloquente come una forbita orazione di avvocato fiscale, suscitò i frenetici applausi dalla platea (ingresso) e dal loggione; le poltrone e i palchi prudentemente si astennero. Gli attori non erano altro che fonografi, e non poterono per mancanza di materia prima, creare nessun carattere. Il Ruggeri è artista tale che si mantiene alto anche in simili spappolamenti teatrali; e il Niccodemi, come Gilberto della sua commedia, troverà nella sua coscienza la carceriera che lo punirà dall’aver speculato sul dramma nazionale, per raggiungere in poco tempo solo ciò che un onesto e lungo lavoro gli avrebbe dato allo stesso modo.

(18 maggio 1916)

Antonio Gramsci

 

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