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Tra proclami e incongruenze il teatro rischia sempre più di andare a pezzi. Tattiche “socialiste” per spaccare la protesta?

Il nastro rosso della nuova edizione del Napoli Teatro Festival è stato tagliato. Le conferenze stampa di presentazione sono state fatte. E questa volta per il direttore De Fusco non ci sono scuse del tipo: «Sono arrivato a marzo»; oppure: «Abbiamo trovato in cassa 200 euro, non possono ricadere su di noi errori della precedente amministrazione». Quest’anno non c’è tempo per le promesse: «Entro dicembre saneremo tutti i debiti». Quest’anno c’è tempo solo per il teatro. Eppure ciò che balza subito agli occhi è che il tanto acclamato Fringe (rassegna dedicata alle giovani realtà teatrali), già snobbato l’anno scorso con un’inadeguata pubblicità, è scomparso del tutto. Cancellato, reputato dalla direzione non adatto alla nuova edizione; forse se ne riparlerà nel 2013, ma per quest’anno nulla da fare. Lamentarsi? Di cosa? Non ci saranno aspiranti attori, artisti con nuove idee, nuova linfa, voglia di mettersi alla prova e farsi conoscere ma intanto che goduria sarà la performance di Bob Wilson, quale risalto mediatico avrà il festival e la città!

“Certe volte la fortuna presenta occasioni che non si può proprio far a meno di cogliere”, viene questo da pensare soffermandosi un attimo sul cartellone del Mercadante e su quello del NTFI, gestiti entrambi da De Fusco. Mio nonno lo diceva sempre: «I migliori so i socialisti, perché sanno mediare, sanno “apparare” in silenzio, perché quando hai diritto a qualcosa, loro ti trasformano il diritto in un piacere». Così, improvvisamente, il Mercadante, dopo la sfuriata del sindaco De Magistris (il quale pubblicamente ha più volte dichiarato che De Fusco non può ricoprire due direzioni artistiche in città), si trasforma. E la famosa frase di De Fusco, che tanto aveva suscito polemiche, «Il nostro sarà una teatro borghese», diviene solo un ricordo. Pur di assicurarsi un posto al sole, infatti, si mescolano amici di amici con ex nemici (o presunti tali) e il cartellone per magia si riempie dei nomi di coloro che fino a qualche tempo prima hanno protestato contro il nababbo del teatro italiano. Gente di “sinistra” offesa dai 720 milia euro per l’ultimo spettacolo di De Fusco, la si vede in prima fila alla conferenza stampa dello Stabile napoletano. Gli indignati napoletani fanno indignare e, a trovare una giustificazione, naturale diviene ascoltare frasi che suonano più o meno così: «Io faccio l’attore, non mi occupo di politica»; oppure «Bisogna rapportarsi con le istituzioni cittadine»; o ancora «Ma che volte, vedete che la gente cambia, ora non ci sono solo commedie radicalchic?»

La tattica del “ti spetterebbe lavorare, ma devi essere tu a chiederlo a me che te lo riconosco sotto forma di piacere”, sembra funzionare.

Nel frattempo, però i cittadini napoletani possono godere di offerte, numerosi spettacoli, gente in gamba, dirigenti sempre in giacca e cravatta, Peter Brook, il dopo festival… che non si dica a questo punto che «a Napoli non si fa mai niente, non ci sono mai grandi nomi».

Quest’anno si va anche a Capri, ma intanto il Teatro Area Nord, l’Elicantropo, il Teatro De Poche, il Teatro San Carluccio, i teatri di resistenza vengono completamente tagliati fuori. Del resto chi ci andrebbe a Piscinola a vedere Peter Brook? Al contempo, però, nel sito del NTFI si legge : «Il teatro deve essere accessibile a tutti e anche quest’anno i prezzi permetteranno a chiunque di godere dei maestri del teatro a prezzi senza paragoni».

E allora, cosa dover pensare? Forse l’unica possibilità è lasciarsi cullare da una speranza: quella che il Festival sia sempre di più un lombrico che vive la città, i suoi spazi, la sua gente e non, piuttosto, una gigantesca farfalla di plastica visibile da New York e Parigi, ma pur sempre di plastica.

Rosario Esposito La Rossa

 

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