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Nel teatro dei quartieri spagnoli Checov parla spagnolo grazie alla rivisitazione di Veronese.

Il regista Daniel Veronese

Andare a teatro di notte è insolito, non siamo abituati, eppure ho visto molta più gente l’altra notte che negli orari canonici. Sarà perché Napoli è una città giovane (ed infatti c’erano più giovani del solito in sala), sarà perché lo spettacolo era in spagnolo (e molti sono gli studenti e non solo ispanici presenti in città), sarà perché le novità attirano (e la rivisitazione di Checov fatta da una compagnia argentina è una novità nell’ambito dei cartelloni napoletani).

Daniel Veronese è un nome di riferimento del teatro argentino post dittatura. Fondatore de El Periferico de Objetos nel 1991, un collettivo di teatro di figura, ha lavorato sia come drammaturgo che come regista, portando prima in scena le sue opere e poi rivisitando classici del teatro come Ibsen e Checov. Lo spettacolo andato in scena dal 14 al 16 giugno a Galleria Toledo, Espia a una mujer que se mata, è infatti una rivisitazione del regista porteño di Zio Vanja di Checov, ed è un’opera che ha debuttato nel 2006 a Buenos Aires ed ha già girato il mondo vincendo numerosi premi.

Il lavoro del regista sull’opera di Checov comincia dal titolo per il quale è stata scelta una frase di Urs Graf «un hombre que se ahoga, espía a una mujer que se mata», considerata da Veronese molto cecoviana, che gli permette di dare sia una nuova luce al progetto sia di confondere lo spettatore.

Avendo come scopo quello di rafforzare e sottolineare la realtà nella sua asprezza, eliminando qualunque orpello scenico, il regista ha apportato delle modifiche sostanziali anche sulla scenografia e i costumi. La casa di campagna di Serebriakov (Villanueva Cosse) – il famoso accademico e critico teatrale – diventa una stanza piccola e spoglia dove i personaggi si “scontrano” più che incontrarsi. I costumi dei personaggi così come il linguaggio usato, sono modernizzati in modo da rendere la scena molto più simile alla realtà a cui ogni spettatore è abituato. Si vuole creare l’illusione che lo spettacolo sia un frammento della quotidianità di una famiglia che lo spettatore osserva da una finestra, ma allo stesso tempo si vuole metter ben in evidenza che si tratta di una rappresentazione teatrale. Ed infatti proprio la scena iniziale, dove troviamo Sonia (Maria Figueras), la figlia di Serebriakov, ad accoglierci in sala, è a cavallo tra realtà e rappresentazione: Sonia è agitata e confusa, pronta a spararsi, ed è il padre a convincerla a desistere dal suo intento suicida e a consegnargli la rivoltella «perché ci serve per il finale».

Ecco che quindi irrompono in scena tutti gli altri protagonisti – Elena, la seconda moglie del professore (Mara Bestelli); Vania, l’ex cognato (egregiamente interpretato da Osmar Nuñez); Maria (Marta Lubos), l’ex suocera; il dottor Astrov (Marcelo Subiotto) e Teleguin (Maria Onetto) – coinvolgendoci nelle loro conversazioni, spesso concitate e sovrapposte, ed aprendoci uno squarcio sulle loro vite, soggette tutte a sbalzi d’umore improvvisi, emozioni multiple e contraddittorie. La confusione creata dalla visita del professore e della sua giovane moglie nella casa di campagna sembra dover stravolgere completamente le vite di ogni personaggio, ognuno con un diverso modo di vivere ed interpretare la vita, che nasconde agli altri le sue reali intenzioni e sentimenti. Si assiste ad un crescendo di tensione, sottolineato anche dalla sostituzione da parte del regista dei monologhi originali con dialoghi in modo da portare i personaggi allo scontro e dare più ritmo alla rappresentazione, che culmina con il tentativo di Vanja di sparare Serebriakov allorquando quest’ultimo palesa la sua idea di vendere la proprietà noncurante di tutti coloro che la abitano.

Ma dopo il clamore e panico di questa discussione, ecco che tutto rientra nei ranghi: il professore decide di tornare in città e la vita nella casa riprende come se nulla fosse successo.

Il regista ha voluto riportare nella casa di campagna la crisi che la società argentina ha vissuto nel 2001 a seguito del collasso economico facendola rivivere nella crisi di una famiglia. L’abuso di potere della classe sociale privilegiata e dominante viene rappresentato dall’abuso di potere del vecchio professore nei confronti della sua famiglia: Serebriakov beneficia del suo status solo grazie al sacrificio di chi lavora per lui, Vanja cerca di ribellarsi a ciò ma la sua personale rivoluzione si risolve con un ritorno allo status quo proprio come l’Argentina che a seguito della crisi del 2001 ha temporeggiato prima di individuare gli strumenti necessari per affrontare la stessa.

Buona la rivisitazione fatta dal regista e il lavoro compito da tutta la compagnia che ha saputo conferire allo spettacolo, con efficacia, senza artifici, quella veridicità richiesta dal testo; in particolare, conoscere un punto di vista nuovo, lo sguardo di chi ha vissuto un periodo storico complicato e delicato come quello Argentino dal post dittatura fino alla grande crisi è stato di grande interesse e ha dimostrato, ancora una volta, quanto il teatro sia uno strumento infallibile per raccontare il presente nel suo costante e mutevole divenire.

Irene Bonadies

 

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