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Cronache teatrali dall’«Avanti!»,  1916-1920

 

Nell’ombra della vallata di Synge al Chiarella.

L’interno di una casupola da pastore, ai piedi di una collina irlandese, in una sera di uragano.

Un vagabondo bussa e domanda ristoro.

Una giovane donna accigliata lo invita a entrare.

In casa c’è un morto, il vecchio marito.

La compagnia del cadavere non turba la donna che la distanza e la tempesta separano dai viventi.

Una cosa la turba: sarà sola anche domani e dopodomani e ci son le pecore da condurre, e in casa non c’è torba, ed ella non può uscire perché bisogna vegliare il cadavere.

Il vagabondo veglierà, ella esce.

Il vecchio si scuote, fingeva d’esser morto; è un vecchio pastore bizzarro, roso da un’ira cupa e sordida verso la moglie.

Si fa dare da bere, si fa consegnare un randello e si distende nuovamente sotto il sudario, gorgogliando acquavite e maledizioni.

Nara rientra, con un giovane pastore: parla, della sua vita sacrificata, dei suoi aneliti bramosi alla libertà, alla maternità, accanto al marito, un rozzo tronco di umanità feroce e bisbetica.

Il giovane fa l’inventario dell’eredità: le offre di sposarla.

Il cadavere si risolleva spettrito, squassato dalla tosse, minaccioso col randello.

Scaccia la moglie, furioso, mentre ella sta impassibile, fredda dinanzi a quella frenesia senile che si consuma maledicendo, vogliosa di nuocere, di vedere la nemica ridotta all’abiezione della fame e del vagabondaggio, per quindi uscire, in compagnia del vagabondo che le parla con dolcezza virile e le offre il suo sostegno per una nuova vita, fuori dalla valle, dalla nebbia, dal trito inseguirsi dei giorni, delle settimane, dei mesi, delle stagioni.

E il vecchio, dopo aver impaurito il giovanotto, siede insieme a costui e beve, sghignazzando trucemente.

Un seguirsi di rappresentazioni rapide, secche, incisive che si giustificano in se stesse, nel rilievo dei singoli quadretti.

(29 giugno 1919).

Antonio Gramsci

 

 

 

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