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Nel tempo delle crisi teatrali i diritti sono nascosti e la legge passa in secondo piano.

Enzo Moscato in un suo celebre spettacolo scriveva: «Piove, teatro ladro, piove. Riforma di Moliere, che gliesse a fare ’o pumpiere». Teatro italiano in perenne crisi, teatro subordinato a cambi di potere, sterzate del sistema, tagli al settore che affamano l’indotto. In un tempo di competizione totale per l’accaparrarsi di poche briciole, concessione temporanea del politico di turno, in cambio di appoggio in campagna elettorale, parlare di paghe, del diritto alla paga, alla retribuzione equa, appare come un eufemismo. Ma il compito di un organo di informazione è anche quello di raccontare, di presentare dati, di confrontare reale con ciò che dovrebbe essere. È chiaro che al di là delle scuole di teatro, o meglio all’intero dei corsi teatrali, andrebbe inserita una nuova materia, il diritto teatrale. Lezioni su diritti, doveri, sicurezza, retribuzione, pensione, agibilità e documenti vari. Lezioni per giovani attori, per chi si appresta a fare del teatro la propria fonte di sostentamento, se di sostentamento si può ancora parlare. Ovviamente oggi tutto questo appare utopia, visto che molte delle scuole teatrali fanno la loro fortuna sulla negazione di questi diritti, del diritto alla retribuzione in primis.

Il diritto teatrale in ogni caso è un punto che va affrontato, analizzato, ma più che mai raccontato. Vanno soprattutto raccontati i numeri. Vanno raccontare le soglie, le paghe minime, paghe lorde e paghe nette. Non bisogna dar per scontato nulla, niente è palese, niente è risaputo, soprattutto tra i giovani. Raccontare per conoscere, conoscere per farsi valere. Proviamo a fare una panoramica partendo dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro riferito agli attori. La paga lorda giornaliera per un allievo attore, ultima categoria, “cenerentola delle categorie” è di 44 euro. 4,04 euro vengo sottratti dall’Enpals e 9,19 euro è da considerarsi accisa Irpef. Paga netta 30,77. Ma continuiamo, paga netta per allievi tecnici: 27,57. Minimo per assistenti alla regia, segreteria di compagnia, suggeritori, parrucchieri, truccatori: 36,89 euro. Minimo per aiuti registi: 38,55 euro. Minimo per il periodo di prove per gli scritturati dagli stabili: 40,56 euro. Ma la paga di un attore può raggiungere anche i 150 euro lordi giornaliere per un netto vicino a 105 euro, parliamo di probabili 3000 euro al mese.

Da questi numeri, che a nostro modesto parere possono essere giudicati giusti, appare chiaro che i registi che gestiscono teatri pubblici non possono farsi contratti, non possono decidere la propria paga, non possono incassare e lasciare al resto le mollichine. Che fondamentalmente i soldi ci sono, basta pensare alla sola Campania, dove si svolgono più di 7 festival teatrali finanziati dalle istituzioni, ma che la spartizione, meglio parlare di retribuzione, non è equa. Che la meritocrazia è fumo in cielo, che contano i contatti, che quest’arte di ricerca orfana di pubblico è schiava di accordi sottobanco. Che i suoi protagonisti, gli attori, i tecnici, i registi, i drammaturghi si vendono senza nessuna garanzia e diritto. Il bisogno di salario, ripetiamo: non equo, non legale, a nero, crea omertà e sindrome della rana. Omertà perché non si denunciano mafiosi teatrali che sfruttano per poche decine di euro giovani e attori affermati. Perché denunciare le pratiche illegali di un sistema teatro che campa sempre di più di pozzi neri, di soldi girati, fatturati, imbrogliati, incassati, spariti, ti può tagliare le gambe. Non si lavora più, non si è più accettati e gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Tu attacchi il sistema e il sistema “a rocchia” si localizza su di te, pena l’esclusione. Qua non conta destra e sinistra, uno continua il lavoro dell’altro, si sostituiscono, fanno finte guerre. Per evitare tale fine, attori e addetti ai lavori vengono colti dalla cosiddetta Sindrome della Rana. Per non soffocare la propria morale, spirito rivoluzionario, lotta al potere insista nel teatro, si protesta. Si alza la voce, si firmano petizioni, si creano collettivi, ma nel momento in cui il potere ti chiama a se sottoforma di retribuzione si “saltella” e le rivoluzioni tanto annunciate sui social network passano in secondo piano. In fondo “teniamo famiglia”. Coerenze e conoscenza, armiamoci di questo.

Rosario Esposito La Rossa

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