Gramsci, cronache teatrali: “Emma Gramatica”
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
Emma Gramatica
Il teatro, come organizzazione pratica di uomini e di strumenti di lavoro, non è sfuggito dalle spire delmaelström capitalistico. Ma l’organizzazione pratica del teatro è nel suo insieme un mezzo di espressione artistica: non si può turbarla senza turbare e rovinare il processo espressivo, senza sterilire l’organo «linguistico» della rappresentazione teatrale.
L’industrialismo ha determinato le sue necessarie conseguenze. La compagnia teatrale, come complesso di lavoro retto dai rapporti che intercedevano nell’arte medioevale tra il maestro e i discepoli, si è dissolta: ai vincoli disciplinari generati spontaneamente dal lavoro in comune – lavoro di natura particolare, perché tendente a fini di creazione artistica – sono successi i «vincoli» che legano l’intraprenditore ai salariati, i vincoli della forca e dell’impiccato. Le leggi della concorrenza hanno rapidamente condotto a termine l’opera loro disgregatrice: il comico è diventato un individuo, in lotta coi suoi compagni di lavoro, col «maestro», divenuto mediatore e coll’industriale del teatro. Sfrenata la speculazione sordida, essa non ha conosciuto piú confini. Il carattere stesso peculiare del lavoro da svolgere è diventato reagente corrosivo. Primeggiare nel guadagno va di pari passo col primeggiare nella compagnia, nelle funzioni direttive e autoritarie, nella libertà di scegliere per sé le parti a successo e spiccare, monumento funerario, in un cimitero di fosse comuni. La tecnica teatrale ne è stata scombussolata, la produzione si è adattata «facilmente» alle condizioni nuove; facilmente, nel senso che l’equilibrio è stato raggiunto in un piano infimo, di compagnie, di pubblico, di scrittori di teatro. Si parla di depravazione del gusto, di decadenza dei costumi, di dissoluzione artistica. L’origine di questi fenomeni vistosi è da ricercare unicamente nel mutarsi dei rapporti economici tra l’impresario del teatro, divenuto industriale associato in un trust, il capocomico, divenuto mediatore, e i comici soggiogati alla schiavitú del salario.
Poche resistenze si verificarono a questo imperversare della concorrenza e della speculazione. Resistere d’altronde è difficile. Qualcuno cercò di salvare almeno una parte della libertà d’espressione artistica di fra le urla e gli stridi avidi del mercato capitalistico. Emma Gramatica è certamente di questi pochi: segno della sua personalità e della sua volontà artistica. Ribellarsi sarebbe stato pazzo e puerile: è finito il tempo delle avventure romantiche e delle audacie donchisciottesche. Del resto queste sono possibili alle iniziative individuali, non alle imprese che domandano un complesso di individui. Ribellarsi avrebbe solo significato essere immediatamente privati delle possibilità maggiori di espressione. Ma c’è adattamento e adattamento. La Gramatica ha conservato una sua libertà di movimento e di scelta: c’è una ricerca continua, una lotta continua nella sua attività: c’è vita. Può conoscere zone inesplorate, può allargare la sfera della sua sensibilità e delle sue esperienze: non cade nellaroutine, non è diventata una mera impiegata, che ha applicato il metodo Taylor all’espressione plastica della vita, che ha ridotto a meccanismo – complicato, esperto, di 20.000 pezzi mobili, ma meccanismo – ciò che è in quanto imprevedibile e incoercibile: l’espressione.
A Torino, almeno, dove l’industrialismo teatrale opera implacabile come un flagello, la Gramatica è la sola che in questi ultimi anni ha «prodotto» novità, ha suscitato dall’interiore sua vita creature nuove, che vibrano d’amore e di odio o svolgono la quotidiana fatica del vivere in forme non logorate e rese opache dall’abitudine e dallo schema del mestiere, che è regolato dalla legge del minimo sforzo. Ha tentato, ha osato, dicono che abbia anche arrischiato dei capitali senza certezza di rivalsa, per imporre fantasmi artistici che altrimenti non avrebbero mai passeggiato sulle scene italiane. Vive dunque in lei e opera incessantemente, condizionando anche l’attività pratica, il principio della creazione irresistibile e prepotente che foggia una personalità e plasma un carattere secondo le leggi sue proprie: le leggi della bellezza.
(1° luglio 1919)
Antonio Gramsci