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Cronache teatrali dall’«Avanti!»,  1916-1920

Ancora i fratelli Chiarella.

Il signor Giovanni Chiarella ci invia una seconda lettera di recriminazioni che non riescono a far mutare le nostre convinzioni. Egli vuole che si faccia notare ai nostri lettori che le compagnie Musco e Novelli continuavano nel mese di aprile corsi di recite iniziati nel mese di marzo, cosí che non appaia che essi siano venuti a Torino per soli cinque giorni. Desidera pure che sia ricordato che la compagnia Talli nello stesso aprile tenne 28 serate. Ciò non toglie naturalmente che nei due mesi di maggio e giugno i teatri dei Chiarella abbiano accolto in prevalenza spettacoli di infimo ordine, mentre a Milano, a Roma, a Bologna, a Firenze, contemporaneamente, la vita teatrale aveva ben altro svolgimento. Non fummo i soli a osservare il fenomeno: altri giornali di Torino ripeterono le cose da noi scritte.

Quanto all’opera deleteria del trust, il Chiarella si appella ai capocomici italiani. Perché appaia però che le nostre osservazioni non erano campate in aria, riportiamo un brano della lettera aperta con cui Marco Praga, presidente della Società italiana degli autori, ha indetto un convegno di capocomici per il 9 luglio:

«Piú voci sono giunte a noi, e voci degne d’essere ascoltate, sia che venissero dai piú eletti e dai piú umili.

«Dicono alcuni capocomici: s’è formato uno stato di cose pel quale l’esercizio della nostra industria è reso troppo difficile, troppo rischioso, se non addirittura impossibile. Ci sono imposti contratti stranamente onerosi. C’è chi s’immischia nella formazione delle compagnie, senza diritto. Il giro delle compagnie è forzoso, ed è subordinato non all’interesse dell’arte e dell’industria teatrale, ma a quello soltanto di chi tiene in suo potere l’agibilità e la disponibilità dei principali teatri nelle città principali. E aspre polemiche e dibattiti dolorosi si sono svolti, su questo argomento, né ebbero ancor fine.

«Dicono i comici: lunghi anni di lotta ci avevano fatto ottenere equi patti di scritture, con l’abolizione di certe clausole viete e sommamente pericolose per noi, e la concessione di tali garanzie che ci assicuravano un pane modesto dandoci quella tranquillità di vita che è indispensabile al miglior esercizio dell’arte nostra. Ed ora d’un tratto, tutto ci fu ritolto; e ci fu ritolto in un momento grave della vita nazionale, in un periodo di crisi quale mai fu attraversato dal teatro italiano. O vivere di ansie e di stenti, o disertare, per rifugiarsi su quella scena muta che non può dare soddisfazioni al nostro amor proprio, ma che ci offre un pane meno incerto e meno duro.

«Dicono alcuni proprietari o conduttori di teatro: Non è manía di monopolio che ci guida, non è manía di accentramento in nostre mani della industria teatrale, e non è un’egemonia a nostro solo profitto che noi vogliamo creare. Ma è il desiderio e il bisogno di disciplinare l’esercizio di questa industria teatrale, disciplina dalla quale non possono derivar danni, ma, anzi, debbono scaturire maggiori fortune per l’arte.

«E dicono, infine, altri proprietari o conduttori di teatro: Noi potremmo e vorremmo offrire condizioni contrattuali piú favorevoli ai capocomici, e non temeremmo la leale concorrenza fra teatro e teatro di una stessa città. Ma per ragioni troppo evidenti dobbiamo seguir la corrente, dobbiamo uniformarci alle disposizioni o ai consigli di chi ha in mano la maggior somma degli interessi teatrali, né possiamo agire se non con il consenso e per il tramite delle agenzie».

Del resto basterebbe ricordare le lettere che Ermete Zacconi (cui pure il Chiarella si rivolge nella sua lettera) ha inviato ai giornali in varie occasioni, e la recente campagna degli organi giornalistici del trust contro Emma Gramatica.

È questo che a noi importa piú di tutte le statistiche, di tutti i calendari che il Chiarella volge a suo favore, non potendo smentire i fatti che a Torino si chiamano Petrolini, Bambi, Cuttica, Spadaro, Gabrielli, nello stesso tempo in cui nelle altre città si chiamano coi nomi delle compagnie drammatiche. Che i Chiarella cerchino di armonizzare il desiderio di non essere in deficit, con l’esplicazione di un alto ideale artistico, è cosa che vogliamo vedere nella realtà e non solo nell’affermazione generica scritta per i giornali. La realtà di questi ultimi due mesi è stata tale da rendere giustificato l’appunto da noi mosso. Il resto è minutaglia inconcludente.

Infine il signor Chiarella propone di sottoporre l’opera da lui prestata per la beneficenza all’esame e al giudizio dei probiviri della stampa. Non vediamo l’importanza dell’esame e del giudizio. Perché il signor Chiarella si tranquillizzi e per evitare un cumulo di beghe e di fastidi perfettamente pleonastici, siamo disposti a riconoscere che il signor Chiarella ha fatto tutto ciò che ha potuto fare, come uomo d’affari, per la beneficenza!!

(8 luglio 1917).

Antonio Gramsci

 

 

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