Gramsci, cronache teatrali: Sichel
Cronache teatrali dall’«Avanti!», 1916-1920
Sichel
È uno degli attori meglio quotati, a Torino.
Mi dicono sia molto popolare e che persino sotto i portici gli ammiratori si fermino a osservarlo, e se lo additino sbirciando, e si ricordino scambievolmente i momenti di ilarità.
Certo è che in questa stagione il Carignano è sempre stato affollatissimo, e gli spettatori hanno mostrato di divertirsi e Sichel è stato festeggiatissimo e ha avuto l’onore (come si dice) di molti applausi a solo, di molti segni di distinzione.
Ma io mi spiego la curiosità nelle vie e tutto il resto, molto facilmente. E credo di non sbagliare. Ho domandato a piú d’uno: in che consiste l’arte comica di Sichel?
Nessuno m’ha saputo rispondere, nessuno m’ha saputo definire una cosa della cui esistenza pure sembra si sia persuasi.
Ho domandato: perché il repertorio della compagnia Sichel è cosí monotono, cosí uguale, cosí scialbo? e le commedie da essa date sono le peggiori del repertorio generale?
E ho visto che la fama della bravura di questo attore non aveva davvero alcuna base seria. Perché gli ammiratori sorridono e si allietano anche nel vedere l’attore sotto i portici, cioè anche quando non riveste i panni di un personaggio comico?
Perché la comicità di Sichel non esiste affatto come fatto artistico, non è qualcosa che possa essere descritto e criticato come fatto artistico, ma è solo un’impressione fugace, una suggestione esteriore, un superficialissimo fenomeno psicologico.
Sichel ha trovato il suo train speciale, e a esso adatta tutte le parti che deve interpretare. È sempre lo stesso, conserva sempre la stessa espressione, la stessa faccia per tutti i personaggi. È sempre serio, e le commedie che dà sono sempre allegre.
Sembra sempre una persona qualunque, una delle tante persone cosiddette serie che si incontrano sotto i portici, e dice invece delle cose che non sono serie; ha la faccia delle persone comuni, che perché comuni non sono né troppo imbecilli né troppo intelligenti, e i tipi che rappresenta con predilezione sono invece quelli di cretini nati, di idioti completi.
Se la commedia non li vuole proprio cosí, l’attore pensa lui a completarli: ha una mezza dozzina di intercalari diversi, che ripetuti a sazietà… «basta intendersi!», «io capisco tutto!» ecc., dànno l’apparenza del cretino anche all’uomo piú furbo.
Da questo contrasto, tra la serietà fisica e muscolare, e le parole, le situazioni cretine, nasce per gli spettatori l’impressione della forza comica dell’attore, il quale naturalmente, essendo sempre uguale, non può svestirsene neanche quando ridiventa il cittadino cav. Giuseppe Sichel, rispettabile come qualsiasi altro cittadino di questo mondo. E ciò basta per gli spettatori, i quali sono di buona pasta. Perdonano tutto, non vedono affatto tutto ciò che di meccanico c’è in questa apparente comicità.
Si divertono e non cercano di piú: passano piacevolmente qualche ora e al teatro non domandano altro. Sichel è l’attore fatto apposta per i pubblici di mediocre levatura.
Appiattisce tutto, mediocrizza tutto, anche la banalità, la volgarità della pochade. E si merita pertanto gli applausi a solo, i segni di distinzione. Come dicono gli inglesi: è l’uomo piú adatto per il ruolo che piú gli si adatta.
(23 settembre 1916)
Antonio Gramsci