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Nel dramma di Brecht diretto da Carlo Cerciello la storia di una madre simbolo della conquista di consapevolezza e della necessità di rivoluzione.

Ricordare. Rifocillare la memoria storica. Ripercorrere ciò che è stato per interpretare il presente e porsi in osservazione del futuro con altri occhi. Altre parole. Altri pensieri.
È a queste riflessioni che si è indotti dopo aver assistito a La Madre, opera scritta da Bertolt Brecht nel 1932 (rielaborando l’omonimo romanzo di Maksim Gor’kij), e in questa occasione riadattata e diretta dal regista Carlo Cerciello per inaugurare la stagione 2012-13 del Teatro Elicantropo dedicata agli operai.
Impersonata da Imma Villa che con efficacia e veridicità sa restituirle il coraggio, l’umorismo e la perseveranza che le sono proprie, la madre proletaria del titolo è Pelagia Vlassova, madre del giovane e operaio Pavel, protagonista, insieme ai suoi amici, del movimento rivoluzionario russo del 1905.
Inizialmente ostile alla scelta politica compiuta dal figlio per i pericoli che essa gli può comportare, decide in seguito, per il medesimo istinto protettivo che finora l’ha spinta a farlo desistere, di sposare la causa e partecipare in prima persona alle attività clandestine poste in essere da Pavel e il suo gruppo; così facendo si pone ad emblema di una esigenza di cambiamento, ovvero della presa di coscienza, da parte della classe operaia, della necessità che le idee bolsceviche vedano piena attuazione e trovino nei lavoratori le gambe per camminare e diffondersi.

Opera dal contenuto fortemente didascalico, attraverso cui Brecht intende mostrare e spiegare agli spettatori a cui si rivolge i valori positivi del comunismo, richiamando gli stessi ad un impegno politico, concreto e attivo («Il partito è in pericolo, alzati!», canta il coro) che dal basso imponga un mutamento, La Madre conserva una trasversalità e universalità di principi che particolarmente sembrano adeguarsi alla situazione storica odierna.
«Il senso di riproposizione di questo testo – spiega infatti il regista – sta nel recupero di avvenimenti, ideologie e sentimenti che hanno trasformato il mondo, riconsegnando alle classi più deboli e ai lavoratori tutti, quella coscienza e dignità che oggi, purtroppo, è nuovamente mortificata e immolata sull’altare del “dio mercato”. Il nostro – continua Cerciello – vuole essere un affresco malandato e corroso da cui traspare ancora la forza di un ideale».
Alla luce di ciò, particolarmente significativa appare pertanto la scelta di affiancare alla protagonista, profondamente matura ed intensa nella interpretazione, un gruppo di attori giovani, sia di età che di formazione: trasferire loro una conoscenza, un sapere intorno a cui poi sono chiamati a sviluppare una propria, personale elaborazione critica, sembra essere lo scopo della scelta. E vincente risulta essere il risultato dal momento che l’intero cast (composto da Antonio Agerola, Cinzia Cordella, Marco Di Prima, Annalisa Direttore, Valeria Frallicciardi, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli, Aniello Mallardo, Giulia Musciacco, Marianna Pastore e Antonio Piccolo) regge bene alla struttura drammatica  e contribuisce con credibilità a portare avanti la storia.

Musica e prosa si alternano con equilibrio, così come gli assoli e le scene di gruppo: il passaggio dall’uno all’altro momento non interrompe il senso di continuità degli avvenimenti, ma, anzi, conferisce agli stessi ritmo movimentando l’azione e così mantenendo sempre alta l’attenzione del pubblico; funzionale risulta la scenografia (a cura di Roberto Crea) che con versatilità diviene ora casa, ora fabbrica, ora strada pur lasciando immutati gli elementi scenici presenti sul palco. I costumi dai colori scuri e dalla fattura grezza, insieme ai rumori ferrosi dei macchinari, completano la ricreazione di un periodo storico in cui oppressione, negazione dei diritti e disillusione  ne costituiscono i cardini.

Dai possibili, molteplici significati, appare, infine, la scena conclusiva del dramma in cui campeggia un cartello recitante la scritta “CHIUSO”: trattasi del riflesso della situazione attuale in cui versano le fabbriche italiane? È la voce del profondo sconforto e smarrimento di chi nel cambiamento politico-sociale ha creduto e crede ancora, ma, oggi più che mai, vede che dinanzi a sé la strada da percorrere è ancora irta di ostacoli? O, piuttosto, è il rimarcare con fermezza, senza possibilità di tentennamenti, che alla speranza contenuta nella frase finale pronunciata dalla Vlassova «Il mai si tramuti in oggi, in oggi stesso» bisogna continuare ad aggrapparsi?
A ciascuno la scelta della propria spiegazione o l’individuazione di altro nuovo significato da attribuire a quella scritta, così accettando la sfida lanciata dal regista che non ha inteso lasciare lo spettatore con una risposta certa, rassicurante, da portare a casa, bensì con interrogativi da continuare a porsi e a porre anche a sipario simbolicamente chiuso.

In scena fino a domenica 2 dicembre.

Ileana Bonadies

 

Teatro Elicantropo
Via Gerolomini, 3 – Napoli
Info: 081 29 66 40
e-mail: teatroelicantropo@iol.it
www.teatroelicantropo.com

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