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Giulia Lazzarini ripercorre con profonda intensità la sofferta vicenda dei manicomi in Italia prima e dopo Basaglia. In scena fino al 13 aprile a Galleria Toledo.

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Giulia Lazzarini durante un momento dello spettacolo

Un ricordo lungo una vita, che attraversa il periodo di una grande trasformazione: quella relativa alla modifica delle condizioni e della concezione dei manicomi italiani. In Muri – prima e dopo Basaglia, in scena a Galleria Toledo fino a sabato 13 aprile, per la regia di Renato Sarti, Giulia Lazzarini è un’infermiera che, alla stregua di tanti altri giovani che all’epoca cercavano un’occupazione, ha iniziato a lavorare presso l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste. Non occorreva aver maturato una pregressa esperienza o particolari competenze, non era necessario aver conseguito specifici titoli di studio o professionali. Infermiera nel reparto femminile, il suo compito, come quello di tutte le altre, era di mantenere l’ordine e la “pulizia”; non era consentito nessun tipo di rapporto umano con le pazienti, nessuna interazione con il reparto maschile, dovevano limitarsi semplicemente a “sorvegliare” e, nel caso, a “punire” le degenti, quasi fossero state dei secondini piuttosto che delle infermiere.

La condizione dei ricoverati all’epoca era agghiacciante, veri e propri reclusi privati della loro identità e dignità di esseri umani, degradati ad uno stato di totale barbarie e abbandono. L’idea di una loro possibile riabilitazione non era presa nemmeno lontanamente in considerazione, non era previsto alcun tipo di cura o programma di recupero, se non la feroce repressione della “malattia”, della diversità, di ciò che in sostanza non si conosceva attraverso l’applicazione di metodi violenti e inumani come l’elettroshock, le camicie di forza, la somministrazione massiccia di psicofarmaci e la lobotomizzazione. I reparti si trasformavano così in veri e propri gironi infernali dove gli internati erano condannati per sempre a pagare il contrappasso della loro presunta pericolosità sociale.

Poi nel 1971 la grande svolta con l’arrivo, in qualità di direttore, di Franco Basaglia e della sua psichiatria sociale e politica volta ad operare una serrata requisitoria contro le diverse forme in cui si cristallizzava e istituzionalizzava la “mentalità repressiva” (manicomi, carceri e persino scuole). Una trasformazione, quella voluta fortemente da Basaglia, sfociata nella promulgazione della famosa legge 180 del 13 maggio del 1978 con cui si chiudevano i manicomi e si dava inizio ad un diverso approccio al disagio mentale, rispettoso della dignità della persona e proteso ad un suo effettivo reinserimento nel tessuto sociale.

Costruito su testimonianze dirette, tra cui quella di Mariuccia Giacomini, che affiancò per lungo tempo lo psichiatra veneto, lo spettacolo, nel suo allestimento “nudo”, spogliato di ogni orpello, vestito solo della prosa carica di pathos con cui viene narrata la vicenda e che conferisce una consistenza concreta ai ricordi e al dolore, è un vero e proprio viaggio nella “sofferenza dell’anima”. Un percorso che ci conduce al “termine della notte”, spingendoci a riconsiderare una scottante questione che animò fortemente, per tutto il Novecento, l’acceso dibattito sulla gestione dei manicomi e la relativa “cura” dei malati. Ascoltare, con dovizia di particolari, quale fosse in quegli anni la prassi, la regola unanimemente accettata dalla comunità scientifica e non solo, fa perdere, a chi ascolta, la cognizione del tempo e dello spazio.

La bravura di Giulia Lazzarini consiste soprattutto nel riuscire a trasformare il racconto in qualcosa di assolutamente personale, con accenti di lirico trasporto e di profonda commozione, cosicché attraverso la sua voce, resa ancora più autentica dall’uso armonioso dell’accento triestino, si ha come la sensazione di trovarsi catapultati realmente nei luoghi che essa descrive, nelle stanze-prigioni dalle pareti logore e sporche, accanto alle pazienti dallo sguardo triste e privo di vita.

Il racconto viene a più riprese scandito dalle suggestive musiche di Carlo Boccadoro che, in maniera discreta ma incisiva, accompagnano l’attrice, intensificando le emozioni suscitate dalla sua appassionata e commossa interpretazione.

È un esempio, quello di Renato Sarti, di alto teatro politico e civile che ci induce a rimeditare il passato per vivere con maggiore consapevolezza e spirito critico il nostro presente, ricordandoci, mai come in questo caso, che i veri muri da abbattere sono quelli innalzati  dall’ignoranza e dal pregiudizio.

Armando Mascolo

Teatro Galleria Toledo

Via Concezione a Montecalvario, 34

In scena fino sabato  13 aprile

Costo biglietti: intero 15€; ridotto 10€

Tel. 081 42 50 37

www.galleriatoledo.org

 

 

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